Miopatie infiammatorie

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di Massimiliano Filosto*

Con il termine generico di “miopatia infiammatoria” i medici si riferiscono usualmente a malattie croniche causate da una disfunzione del sistema immunitario (sono malattie cosiddette “disimmuni” o “autoimmuni”) i cui meccanismi patogenetici sono simili a quelli che determinano più comuni e note malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide o il lupus eritematoso sistemico.
Le miopatie infiammatorie rappresentano il gruppo più numeroso tra le malattie muscolari acquisite e potenzialmente trattabili. Le prime descrizioni cliniche risalgono alla fine dell’Ottocento e già a quel tempo erano state individuate le due principali forme, rispettivamente con e senza coinvolgimento cutaneo.

Forme principali

Incidenza delle miopatie infiammatorie

Cause

Manifestazioni cliniche

Diagnosi

Terapia

Forme principali
Le miopatie infiammatorie come sopra definite vengono oggi chiamate più correttamente Miopatie infiammatorie idiopatiche il cui acronimo inglese è IIM (Idiopathic Inflammatory Myopathies).
I tipi più comuni di IIM sono:
- la dermatomiosite (dermatomyositis; DM) che si caratterizza per un coinvolgimento cutaneo oltre che muscolare
- la polimiosite (polymyositis; PM) che si presenta con un coinvolgimento muscolare simile a quello della DM ma senza interessamento cutaneo. Nonostante la similarità nella distribuzione del coinvolgimento muscolare, le due forme, DM e PM, hanno un differente processo patogenetico sottostante
- la miopatia autoimmune necrotizzante (necrotizing autoimmune myopathy; INMN; NAM) la quale era in passato considerata un sottotipo di PM. Adesso è invece considerata un tipo a sé stante di IIM
- la miosite a corpi inclusi sporadica (sporadic inclusion body myositis; sIBM) che si distingue dalle altre forme per una distribuzione che interessa spesso anche i muscoli distali oltre che prossimali, per l'esordio insidioso e lento nel tempo, per le caratteristiche istologiche e per la scarsa risposta alla terapia immunosoppressiva.
Al di là delle forme sopra elencate, sono sempre più evidenti i casi di pazienti che presentano forme cosiddette “overlap”, ovvero nelle quali vi è una sovrapposizione tra le varie categorie patologiche, spesso in associazione con altre malattie autoimmuni del tessuto connettivo (connettivopatie).
Dalle IIM sopra descritte, vanno differenziate le miopatie infiammatorie che non hanno una vera e propria genesi autoimmune come le miositi focali, le miofasciti e le miositi granulomatose.

Incidenza delle miopatie infiammatorie
L’attuale incidenza delle miopatie infiammatorie viene calcolata intorno a 5-10 casi ogni 100.000 individui, senza differenze nelle varie etnie, con un decorso medio di malattia di due anni nei casi privi di complicazioni. Circa il 20-30% dei pazienti globalmente considerati ha una completa guarigione (in genere i soggetti più giovani), mentre il tasso di mortalità a 10 anni è di circa l’85-89%. Questa percentuale comprende le forme con precoce interessamento cardiaco e quelle correlate a neoplasie maligne con conseguente prognosi negativa.
Le donne sono più colpite degli uomini, mentre i due gruppi di età più frequentemente affetti sono quelli tra i 4 e i 15 anni e tra i 40 e i 70, con alcune differenze tra le varie forme.

Cause
Nelle PM è stato identificato un processo citotossico (cioè di aggressione alla cellula muscolare) ad opera dei linfociti T che agiscono erroneamente contro componenti della superficie della fibra muscolare (antigeni di istocompatibilità o MHC) o contro altri organelli intracellulari (nucleo, nucleolo, RNA ecc.), scatenando una cascata di fenomeni distruttivi che portano a necrosi del tessuto. I fattori che scatenano questa errata risposta immunitaria non sono noti. In alcuni casi è stata descritta una predisposizione genetica come la presenza di alcuni istotipi di HLA. È possibile che il sistema immunitario venga tratto in errore dalla presenza di certi virus (ad esempio Coxsackie o Retrovirus), ma il meccanismo esatto non è noto, come per quasi tutte le malattie disimmuni.
Le DM sono caratterizzate dall’interessamento primario dei piccoli vasi arteriosi e dei capillari del muscolo, i quali vengono attaccati al loro interno da piccole molecole (fattori del complemento, in particolare il complesso C5-b9) che scatenano la distruzione del vaso attraverso i linfociti B e CD4. Ne consegue una sofferenza del tessuto muscolare per carenza di apporto sanguigno con microinfarti, atrofia e necrosi per contiguità.
Le INMN si caratterizzano dal punto di vista patologico per la presenza di molte fibre muscolari necrotiche associate ad una scarsa presenza di componente infiammatoria. Queste forme hanno una patogenesi non del tutto chiarita e sono spesso associate alla presenza di specifici anticorpi quali l'anti-SRP e l'anti-HMGCR.  Sono state correlate, almeno in alcuni casi, all'assunzione di farmaci ipocolesterolemizzanti quali le statine.
Nelle sIBM, le alterazioni necrotiche delle fibre muscolari e gli infiltrati infiammatori si associano alla presenza di vacuoli degenerativi all’interno delle fibre stesse che contengono proteine filamentose e granulari, le quali sono indice di un processo di degradazione delle componenti muscolari che si aggiunge alla componente autoimmune con meccanismi ancora non del tutto noti.
In alcuni casi PM e, soprattutto, DM ed INMN possono avere una genesi paraneoplastica, cioè rappresentare un segnale di una sottostante neoplasia. In particolare le seguenti neoplasie possono essere associate alle miopatie infiammatorie, in ordine di frequenza:
ovaie> mammella> polmone> pancreas> linfoma non Hodgkin> stomaco> retto e melanoma.

Manifestazioni cliniche
Le PM, le DM e le INMN hanno in genere un esordio subacuto con progressione in alcune settimane o mesi, fino ad arrivare alla forma conclamata.
Il sintomo caratterizzante è la sensazione di stanchezza con debolezza muscolare che, all’inizio della malattia, prevale nei distretti prossimali degli arti (quelli vicini all’asse mediano del corpo), manifestandosi, ad esempio, con difficoltà nel sollevare le braccia, pettinarsi, salire le scale, rialzarsi da terra o da seduti.
Nelle forme più gravi, la debolezza può essere generalizzata e coinvolgere anche i muscoli del collo e del tronco e quelli distali (lontani dall’asse mediano del corpo).
I muscoli oculari sono sempre risparmiati e solo raramente sono coinvolti i muscoli facciali. L’insufficienza respiratoria associata ad altri sintomi bulbari può essere presente nelle forme più gravi. Possono esserci dolori muscolari, in genere subdoli e continui, uusalmente non particolarmente acuti.
Le DM sono caratterizzate, oltre che dai sintomi muscolari sopra descritti, anche dalla comparsa di un eritema cutaneo che coinvolge il viso, la parte superiore del tronco, le mani (soprattutto le nocche delle dita, con i tipici noduli ispessiti) e altre grandi articolazioni (ginocchia, gomiti). In queste forme – più spesso che nelle PM – il paziente può presentare febbricola, coinvolgimento cardiaco, disturbi gastrointestinali e polmonari (interstiziopatie). Nelle forme giovanili un sintomo caratteristico è la modificazione del carattere che può manifestarsi con abnorme svogliatezza nelle attività della vita quotidiana, ritiro sociale ed irritabilità. Nei bambini, queste manifestazioni possono precedere la comparsa della malattia.
Le sIBM hanno invece spesso un esordio subdolo e lentamente progressivo, motivo per cui la diagnosi è spesso tardiva. La malattia colpisce in genere individui maschi di età più avanzata, oltre i 50 anni, la debolezza muscolare inizia caratteristicamente nei distretti distali degli arti superiori, con difficoltà ad estendere la mano, e in quelli prossimali degli arti inferiori, coinvolgendo più precocemente, rispetto alle altre IIM, i muscoli del tronco e della deglutizione. La disfagia infatti è un sintomo frequente (50%) così come la debolezza del collo e della schiena con tendenza a piegarsi in avanti (camptocormia). Le sIBM rispondono poco alla terapia immunosoppressiva ed hanno usualmente un decorso cronico lentamente progressivo.

Diagnosi
La diagnosi di IIM deve essere formulata il più precocemente possibile, per poter iniziare la terapia prima che il danno muscolare sia troppo avanzato.
Il riconoscimento delle DM è solitamente più rapido per la presenza delle caratteristiche lesioni cutanee. Le forme muscolari pure, invece – soprattutto quelle a decorso più lento – possono essere difficili da distinguere da numerose altre malattie muscolari, come ad esempio alcune forme di distrofia con componente infiammatoria o alcune miopatie metaboliche. La diagnosi precisa, quindi, può richiedere più tempo e un più alto numero di indagini strumentali.
Gli esami di laboratorio in genere evidenziano un incremento dei valori dei parametri infiammatori (VES, proteina C reattiva, immunoglobuline) e degli enzimi muscolari (CK, LDH).
L’elettromiografia (EMG) usualmente evidenzia segni di sofferenza muscolare primitiva cui si può associare una certa attività “irritativa”.
L’esame diagnostico più importante è comunque la biopsia muscolare, la quale va eseguita prima dell’inizio della terapia poiché quest’ultima può mascherare il quadro istologico e fuorviare la diagnosi. L'esame consente una diagnosi differenziale tra le varie forme  di IIM per la presenza di alterazioni specifiche di tipo necrotico  e di infiltrati endomisiali che aggrediscono fibre muscolari sane nelle PM, di una tipica degenerazione alla periferia dei fascicoli muscolari (la cosiddetta “atrofia perifascicolare”) nelle DM, di un elevato numero di necrosi cellulari con scarsa presenza di infiltrati infiammatori nelle INMN e di inclusioni e vacuoli all’interno della fibra muscolare nelle sIBM.
Utilizzando specifiche colorazioni è possibile differenziare i diversi sottotipi di cellule infiammatorie presenti nel tessuto muscolare ed individuare la loro localizzazione, ad esempio nei vasi, nel tessuto che circonda i fascicoli muscolari o tra le fibre. Queste informazioni possono essere utili per raggiungere la diagnosi e decidere la terapia più efficace.
Negli ultimi anni si sono resi disponibili dei test per dosare specifici auto-anticorpi nel siero dei pazienti denominati “anticorpi miosite-specifici”. La presenza di questi auto-anticorpi permette da un lato di confermare la patogenesi autoimmune (sono infatti assenti nelle distrofie e nelle altre miopatie su base genetica), dall’altro di distinguere differenti sottogruppi di IIM fornendo cosi indicazioni prognostiche e terapeutiche specifiche.
Si riconoscono infatti auto-anticorpi specifici per le PM (anti Jo), per le IMNM (anti SRP) e per le DM (anti Mi2).
La risonanza magnetica (RM) con specifiche sequenze dedicate al muscolo può essere utilizzata per identificare la presenza di edema ed infiammazione nei ventri muscolari. L'esame è molto utile per valutare la severità del danno muscolare e per monitorare l'efficacia della terapia nel corso del tempo. Nei casi dubbi da un punto di vista clinico, la RM può guidare la scelta del muscolo da sottoporre a biopsia, permettendo di selezionare il muscolo con il maggior grado di infiammazione ma non in fase avanzata di atrofia.

Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale va posta in primo luogo con forme di miopatia secondarie ad altre malattie di pertinenza internistica (connettivopatie, endocrinopatie, sindromi da malassorbimento, sarcoidosi, alcolismo, vasculiti) o all’assunzione di farmaci o sostanze tossiche (chemioterapici, penicillamina, ipocolesterolemizzanti). Forme di distrofia muscolare geneticamente determinate possono presentare sintomi simili alle IIM ed, in alcuni casi, possono mostrare segni di infiammazione alla biopsia muscolare rendendo difficoltoso il corretto inquadramento diagnostico.

Terapia
I farmaci di prima scelta per le PM, le DM e le INMN sono gli steroidi ad alto dosaggio. Esistono vari schemi terapeutici ed è opportuno disegnare per ogni paziente un programma individualizzato sulla base della risposta e della comparsa di eventuali effetti collaterali.
In genere il dosaggio va mantenuto per sei – otto settimane, seguito da una lenta diminuzione a scalare che può durare diversi mesi. È indicato il regolare monitoraggio clinico e dei valori delle CK, utile per indirizzare le eventuali modifiche terapeutiche.
I pazienti che non rispondono allo steroide o che presentano serie controindicazioni possono essere trattati con cicli di immunoglobuline per via endovenosa (Ig e.v.). Nelle dermatomiositi infantili le Ig e.v. sono considerate farmaci di prima scelta.
I farmaci immunosoppressori possono essere associati o sostituire la terapia steroidea; tra essi i più utilizzati sono il metotrexate, l’azatioprina e la ciclosporina. Anche il micofenolato mofetile ha mostrato di essere ben tollerato ed efficace, mentre la ciclofosfamide può essere usata nei casi gravi con interessamento polmonare. Nei pazienti refrattari a tutti i trattamenti si stanno mettendo a punto nuovi approcci terapeutici con molecole dirette contro i principali mediatori della infiammazione: il rituxi mab è un anticorpo monoclonale che agisce causando la deplezione dei linfociti B; l'inflixi mab e l'etaner cept agiscono come agenti bloccanti la citochina TNFalfa; l'Ana kinra è un antagonista del recettore dell'interleukina-1; l'alemtuzumab è un anticorpo monoclonale anti CD52 che causa un'immediata e severa deplezione dei linfociti nel sangue periferico.
Come già detto, il trattamento della sIBM è largamente insoddisfacente in quanto la malattia non risponde ai farmaci utilizzati per le altre forme di IIM. Dati preliminari incoraggianti paiono derivare da studi clinici nei quali è stato utilizzato l'alemtuzu mab.
In tutti i casi e con qualsiasi farmaco, i controlli devono essere frequenti e mirati a monitorare attentamente l'evoluzione della malattia e le eventuali complicanze della terapia.

Bibliografia
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* Centro ERN-NMD per lo Studio delle Malattie Neuromuscolari, U.O. Neurologia, ASST Spedali Civili e Università degli Studi di Brescia.

Per ulteriori dettagli o approfondimenti:
Coordinamento Commissione Medico-Scientifica UILDM, c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.

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