Spirito di adattamento

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L'articolo, pubblicato sul numero 200 di DM, è a firma di Francesco Grauso (Ufficio Fundraising UILDM).

Da febbraio scorso l’Italia è stata sconvolta da un’emergenza sanitaria che si è trasformata in pandemia. Tutti i settori del vivere sono stati influenzati da questa situazione inedita e ci siamo ritrovati chiusi in casa, con la paura di uscire. Inevitabilmente siamo stati spinti a rivedere le attività pianificate, portandoci verso una fase di incertezza e anche di disorientamento. Anche il fundraising non ha fatto eccezione, anzi è stato uno dei primi ambiti interessati. Come succede spesso nei periodi di emergenze e di grandi calamità, si attivano i fundraiser che amo definire “di cuore e di pancia”. Quelli che percependo il bisogno di fare qualcosa di concreto scendono in prima linea per portare aiuti lì dove il bisogno è nato, in modo violento e inaspettato, come in caso di terremoto o alluvione. Ma questi due mesi hanno visto una particolarità che mai prima d’ora si era realizzata: una vera e propria esplosione di raccolte fondi digitali.

Da uno studio fatto da Italia Non Profit sono stati raccolti oltre 650 milioni di euro per sostenere ospedali ed enti non profit. Si tratta di numeri importanti e di un attivismo cittadino senza precedenti al punto che il Governo, con il Decreto Cura Italia, ha permesso agli ospedali di poter ricevere e gestire le somme raccolte in questi mesi. Elemento totalmente nuovo nella normativa italiana. Questa emergenza ha spinto tutti noi anche a una riflessione dedatta da uno scenario nuovo, che è destinato a durare per un po’. Tutti i piani di raccolta fondi costruiti all’inizio dell’anno o meglio, alla fine dello scorso anno, sono completamente saltati. Non più raccolte di piazza, non più eventi di massa, non più cene di beneficenza. E a tutto questo si aggiuge un ulteriore elemento che potrebbe spingere le associazioni a fare un passo indietro nella promozione delle attività di raccolta fondi. La paura di non trovare un “pubblico” ricettivo alla loro richiesta di sostegno, perchè già sollecitato dalle tante raccolte contro il Covid 19. Questi sono tutti fattori che devono spingere il fundraiser e l’associazione a tirare fuori un grande spirito di adattamento. È necessario prendere coscienza del contesto che ci circonda e delle mutate condizioni strategiche e di operatività. Allo stesso tempo non possiamo snaturare l’identità della nostra realtà associativa. Non possiamo riconvertire la nostra azione sociale, come hanno fatto molte aziende che da un giorno all’altro si sono messe a produrre mascherine.

Cosa succede quindi nel rapporto con i nostri donatori? La nostra identità associativa deve rimanere salda, anche perchè ogni azione sociale, nasce per dare risposta a un bisogno e l’arrivo dell’emergenza sanitaria non ha annullato questo bisogno, ma l’ha accentuato.

Non spaventiamoci di chiedere!

Chi ha donato negli anni continuerà a farlo, se siamo stati bravi a coltivare con loro una relazione duratura e basata sulla fiducia. Le nostre raccolte fondi, a differenza di quelle nate per gli ospedali, non hanno come fondamento l’emergenza del momento, ma sono il risultato di anni di relazione e di azione sociale. E sono il risultato di un lavoro di fiducia, fatto di resoconti, di progetti concreti, di aggiornamenti continui e di risultati tangibili. Ora più che mai è necessario continuare su questa strada, cambiando le modalità di fare raccolta, ma mai le motivazioni alla base.

 

Se hai un argomento che vuoi approfondire scrivi a fundraising@uildm.it

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