Padri e figli

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C'è una forza inesauribile nei papà che incontriamo ogni giorno in UILDM. Papà che fanno un milione di cose e che, quando si trovano ad affrontare una malattia neuromuscolare, non si perdono d'animo e si inventano modi nuovi per superare gli ostacoli. Per la Festa del papà 2022 vi raccontiamo tre storie di padri, figli e famiglie che non si sono mai fermati. Queste sono le nuove ere UILDM.

Scorri lo slideshow  per vedere le immagini dei protagonisti delle nostre storie (Michele Forgione e la sua famiglia; Matteo, Giacinto e Viola Santagata; Salvatore del Vecchio e la famiglia).

 
Michele e Francesco
Giacinto e Matteo
Salvatore e Sonia
 
Michele e Francesco

Michele Forgione ha 53 anni, è sposato con Angelica ed è padre di Francesco e Priscilla. La famiglia vive ad Ancona. Francesco ha la distrofia muscolare di Duchenne, ma accanto a lui ha una famiglia che non si è mai persa d’animo e in questi 24 anni ha reso possibile l’impossibile.

 

Parlaci della tua famiglia. 

La nostra vita è sempre stata normalissima. Per Francesco noi facciamo tutto quel che possiamo: siamo genitori, siamo meccanici, medici… Francesco fa tante cose. Studia all’Accademia di Belle Arti di Macerata, ama il trekking, la grafica, le arti visive, il video making. È un ragazzo preciso e molto organizzato. È lui che ci programma i tanti viaggi che facciamo in Italia e all’estero. Un pilota di una qualsiasi compagnia ha meno ore di volo dei chilometri che maciniamo nei nostri viaggi.
Francesco gioca a powerchair hockey. La sua passione è nata dai nostri viaggi. Amiamo molto la montagna e uno dei nostri luoghi del cuore è la città di Asiago, in Veneto, dove trascorriamo molte delle nostre vacanze. In una di queste occasioni Francesco ha conosciuto l’hockey sul ghiaccio e se n’è innamorato. Così, tornati ad Ancona, ha iniziato a giocare. Ora è portiere dei Dolphins Ancona e vanta alcuni raduni con la Nazionale.
Abbiamo anche una figlia, Priscilla, che fa l’infermiera. Lei ci dà una grandissima mano nella gestione del ménage famigliare.
Sono molto soddisfatto dei miei figli. Ci danno una gioia immensa.

 

Che tipo di papà sei?

Sono un papà normale, per i miei figli farei di tutto. Dove posso dare una mano, lo faccio.

 

Che impatto ha avuto la malattia di Francesco sulla vostra vita?

Abbiamo scoperto la malattia di Francesco a pochi mesi di vita perché abbiamo notato alcune problematiche. Un nostro amico pediatra ci ha consigliato di fare alcuni test per capire quale fosse il problema. Tra questi, per ultimo, anche un test genetico per la distrofia. Per farlo siamo andati a San Giovanni in Rotondo, in Puglia. La diagnosi è stata distrofia muscolare. Poi con altri esami più approfonditi abbiamo scoperto che si trattava di distrofia di Duchenne. I medici che abbiamo incontrato ci hanno presentato le prospettive future, la strada che avremmo dovuto intraprendere e ci hanno spronato a percorrerla. Fin qui è stata dura, ma eravamo consapevoli a cosa andavamo incontro.
Io e mia moglie sembravamo dei nomadi, in giro per ospedali per capire come affrontare la malattia di Francesco. Ci siamo fatti forza e abbiamo bussato a tante porte. Non ci siamo mai vergognati di chiedere qualcosa per Francesco, lo abbiamo sempre fatto perché altrimenti avremmo potuto pentircene.

Quando i genitori ricevono una diagnosi del genere si sentono persi. Il carico per la famiglia è molto pesante perché sono loro i primi caregiver. E si tratta di un lavoro appassionante perché sono i nostri figli, ma al tempo stesso duro e sfiancante perché copre tutte le 24 ore della giornata. Questo mi ha spinto a impegnarmi con l’associazione Parent Project per dare supporto alle famiglie che si trovano nella nostra stessa situazione.
C’è ancora tanto da lavorare in Italia per la piena inclusione delle persone con disabilità. Bisogna creare reali condizioni per l’autonomia e la Vita indipendente.

 

Un sogno per tuo figlio.

Ne ho tanti. Il sogno più grande è trovare una cura per la Duchenne per permettere a Francesco di vivere il più a lungo possibile. Il secondo è realizzi tutti i suoi sogni. E per ultimo, anche avere una casa tutta nostra, accessibile per mio figlio e la mia famiglia.
La vita con Francesco mi ha insegnato tanto, soprattutto che l’impossibile può diventare possibile.

 

Francesco sta lavorando al progetto SantiagoOnWheels. Di cosa si tratta?

I primi giorni di giugno 2022 Francesco e un gruppo di amici inizieranno il cammino di Santiago. Il viaggio partirà da Ancona con un pulmino e un camper adibito per tutte le sue necessità.
Arriveremo a Civitavecchia dove ci imbarcheremo con destinazione Barcellona. Da lì raggiungeremo Sarria da dove finalmente partirà il vero e proprio cammino. Percorreremo, infatti, gli ultimi 100 km di cammino fino a Santiago di Compostela. Francesco percorrerà il cammino e realizzerà un documentario «per dire che anche noi persone in carrozzina lo possiamo fare». Io e mia moglie faremo i driver e saremo di appoggio durante il percorso: io guiderò il camper, mia moglie l’altro pulmino.

 

 

Giacinto e Matteo

Giacinto Santagata vive a Torino. Aveva un figlio, Matteo, con la distrofia di Duchenne. Matteo è morto nel 2015 a 37 anni, qualche giorno prima del suo compleanno. Stava preparando una grande festa.
Papà, volontario storico della Sezione UILDM di Torino, di cui è stato anche presidente, perciò papà di tanti giovani che si sono avvicinati a UILDM.

 

Come è stato essere papà di Matteo? Come cambia lo sguardo sul mondo quando si diventa papà?

La mia infanzia non è stata tanto facile. Ho perso la mamma a 10 anni e poi ho avuto problemi di salute. In seguito mi sono sposato e dopo due anni è nato Matteo. Il suo arrivo ha colmato il vuoto della mia infanzia. È stata una gioia più grande del normale, che non so descrivere. Dopo Matteo è nato Fabio che ora ha 42 anni e mi ha dato una nipotina, Viola, di 2 anni e mezzo.

Matteo era un ragazzo semplice e sensibile. L’esordio di malattia è stato a circa 7 anni, quando frequentava la scuola primaria. Ha accettato subito la malattia, ma lui era un tipo che amava tanto la vita. Era molto autoironico e questo suo modo di essere mi ha aiutato a superare i momenti più difficili. Era il mio consulente informatico. Amava il calcio, tifava Torino e Juventus e amava il ciclismo: il suo idolo era Pantani, si identificava nella fatica delle salite. Era appassionato anche di musica. Durante un concerto di Elisa si sono incontrati. Quella sera lei gli ha chiesto le sue canzoni preferite e ha cambiato la scaletta per lui. Amava i bambini e mi dispiace che non abbia conosciuto Viola.

Matteo ha raccontato di sé e della sua vita in un libro che ha scritto.

Viola è una gioia senza parole! È come se avessi anche una figlia ora. Fabio ha sofferto molto per la perdita di Matteo.

La malattia ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Tutto rosa all’inizio, poi tutto nero. La luce è tornata quando ho capito il senso di tutto ciò, il mio ruolo come genitore e la responsabilità che avevo. È stato l’incontro con il dottor Busi, all’epoca presidente di Sezione, a darmi chiarezza. Lui mi ha parlato della distrofia di Duchenne che a quell’epoca veniva scambiata con altre malattie. Mi ha invitato a fare parte dell’associazione e questo mi ha davvero aiutato molto.

 

Tanti anni di volontariato al fianco anche di bambini e ragazzi, in Sezione e nelle scuole. Un impegno che ha tanto a che vedere anche con l’essere padre. Ci racconti di questi anni al fianco di chi ha una distrofia?

La mia esperienza associativa all’inizio era un modo per condividere i problemi e le esperienze. Di solito i papà si occupavano di trasporto, pedane, carrozzine. Le mamme di cibo, di cura dei figli, ecc.
Negli anni ho maturato la decisione che il mio impegno dovesse essere un lavoro, tanto quanto quello che facevo per vivere. Volevo che le famiglie sapessero il più possibile sulle malattie neuromuscolari, che potessero vivere bene, volevo stare vicino a loro. Non si trattava solo di eliminare le barriere architettoniche ma di avere una buona qualità della vita in generale.

Nel tempo tante cose sono cambiate. Sono stati anni impegnativi ma ne è valsa la pena: la ricerca e qualità della vita hanno fatto moltissimi passi in avanti. Negli anni in cui a Matteo è stata diagnosticata la distrofia di Duchenne l’aspettativa di vita era di 20 anni, se eri fortunato. Ora una persona con la Duchenne arriva a compiere 50 anni.

Non solo i ragazzi ma tutta la famiglia va coinvolta nella vita associativa. Alcuni genitori si sono separati proprio a causa della malattia. All’epoca le persone con disabilità e le famiglie erano molto isolati. Grazie a UILDM hanno iniziato a uscire di casa. Poi, nei primi anni ‘90, è arrivato il powerchair hockey e le possibilità di socializzare sono aumentate.

Anche Matteo frequentava la Sezione, ma non giocava a hockey. Gli piaceva guardare.

Quegli incontri in Sezione hanno fatto nascere storiche amicizie tra genitori, che ancora durano.

 

Cosa vorresti dire a un papà di oggi, con un figlio o una figlia con una distrofia?

Se potessi gli racconterei tutto quello che ho vissuto. Il bello e il brutto. I primi a essere uniti devono essere i genitori perché i figli ti guardano con fiducia. Non bisogna mollare, bisogna continuare a lottare! È importante sostenere la ricerca scientifica, come fa UILDM da sempre attraverso Fondazione Telethon. Ieri avevamo una speranza, oggi per me abbiamo una certezza. Sono convinto che si riuscirà a tagliare il traguardo per la cura della distrofia di Duchenne.

 

 

Salvatore e Sonia

Salvatore del Vecchio, è un volontario di UILDM Caserta. Vive a San Nicola La Strada, in provincia di Caserta. Ha 57 anni, è sposato con Franca con la quale ha 3 figli: Sabatino di 33 anni, Aldo di 32, e Sonia di 20.

 

Salvatore, raccontaci di Sonia e del vostro percorso.

Dopo diversi anni dai primi due figli, può non sembrare ma Sonia è stata desiderata con l’anima, volevamo ancora essere genitori.

Quando è nata eravamo tutti contenti per questa bimba tanto attesa. Verso gli 8-9 mesi ci accorgiamo che non tiene bene il collo e il busto, e ha un leggero tremore alle mani. Lì per lì, non conoscendo nulla delle malattie neuromuscolari, confino la paura. Minimizzo, anche quando i timori di mia moglie si fanno più presenti. Se non ci sono segnali molto evidenti, solo la mamma può accorgersi di certe cose. Nemmeno il pediatra ha un occhio così clinico.
Poi è come se avessi voluto darci un taglio: la portiamo dal pediatra, che ci dice di non paragonare la crescita di Sonia a quella dei due fratelli. Decido di fare ulteriori indagini e porto Sonia da un amico pediatra per tranquillizzarmi del tutto. Quasi mi infastidisco quando mi chiede se la bambina è caduta a terra o se aveva avuto febbri importanti. Fa un prelievo di sangue e mi dice che bisogna indagare.

Al Besta di Milano, con mia moglie Franca, cerco di dissimulare la preoccupazione. Allora i papà non erano figure centrali nella salute dei figli, e infatti vengo un po’ tenuto fuori, è a mia moglie che guardavano. Per fortuna nel tempo questo atteggiamento è cambiato. Dopo una serie di analisi arriva la diagnosi di SMA (atrofia muscolare spinale, n.d.r.).

Ci dicono che la carrozzina che sarebbe stata una realtà. E che sarebbe morta presto stando alle statistiche, come tanti bambini in quel periodo. Ci dicono di non rivolgerci a strutture senza specialisti e di avvisarli per il follow up, per capire se ci stavamo rivolgendo a persone giuste.

Poi la vita diventa un dramma. Partiamo dal fatto che sono un militare, e io devo risolvere tutto. Quindi dovevo risolvere anche questo! Dovevo capire e mi ci sono buttato dentro a capofitto. Inizio a conoscere le associazioni, i medici di riferimento, chiunque potesse farmi capire di più. È l’incipit di ogni genitore.

E oggi guardo Sonia, che doveva morire piccola, studiare, avere la sua vita. Nessun miracolo. Grazie ai ricercatori, alle associazioni dove posso condividere il mio vissuto, oggi chi ha una malattia neuromuscolare e la sua famiglia possono costruire una vita come quella di tutti.

Qui al sud c’è ancora tanto da fare. L’ “handicappato” deve stare in casa, viene spesso visto come il dente dolente delle famiglie. Oggi io e Franca ancora litighiamo quando incontriamo queste situazioni. Sonia scia, va in moto, viaggia con le amiche.

 

Ai papà di oggi che si trovano in questa situazione cosa diresti?

Dico sempre questo: “Da soli si corre. Uniti si vince”. Ho fatto mia questa tesi con gli anni. La cosa più importante è capire, toccare con mano. Rivolgersi alle associazioni, credere nella scienza, ascoltare tutti e poi filtrare.
Imbonitori ne abbiamo incontrati tanti. Perché un genitore ha bisogno di credere, di lenire il dolore. Ascoltare, leggere, informarsi: questo dico ai genitori, non fatevi prendere da ciò che non ha riscontro empirico. Alcuni medici mi hanno riferito che nelle coppie spesso succede che i papà vadano via perché hanno paura. Ma ci sono coppie dove il rapporto si è cementato, come la mia. La SMA ci ha dato anche questo. E in famiglia tutti hanno voce in capitolo.
I fratelli di Sonia, Tino e Aldo, hanno imparato l’amore. Ci hanno visto in momenti brutti, e hanno sviluppato un rapporto simbiotico, si danno una mano a vicenda, si vive tutti insieme anche ora che ci sono tre nipotine. Siamo uniti.
Amore forse è una parola desueta, ma raccoglie tanto. Volere è potere. Anche in ciò che può sembrare più buio, possiamo sempre trovare una pennellata rosa.

 

Parlando della disabilità in generale: ti guardi intono e vedi…

Oggi i nostri ragazzi studiano, si muovono, e battagliano se non c’è la pedana negli autobus. Hanno dimostrato che si deve parlare di abilità diverse: chi ha detto infatti che io sono il normotipo? Come lo misuriamo? Siamo andati avanti grazie a famiglie, associazioni, persone come Alberto Fontana e Marco Rasconi (consigliere nazionale e Presidente nazionale UILDM, n.d.r.) che indico a mia figlia come esempi da seguire.
Vedo molti più problemi nel mondo della politica, dove ci si riempie la bocca di belle parole, mentre ci sono piccoli comuni e Università che investono e dimostrano che la disabilità è un arricchimento per tutti.

Il traguardo è rendere i nostri figli indipendenti, formarsi con lo studio, come persone, pagare un assistente…ma mi chiedo: e chi non lotta come me? Come lascia i figli? Dobbiamo renderli parte attiva della società.

 

(Alessandra Piva e Chiara Santato)

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