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Durante l'anno scolastico 2021-22 gli studenti della classe terza dell'indirizzo “Industria e artigianato per il made in Italy” (Moda) dell’Istituto Cossar – Da Vinci di Gorizia hanno partecipato al progetto "Diritto all'eleganza" insieme alla Sezione UILDM locale. L’outfit che hanno realizzato ha sfilato durante la Torino Fashion Week il 14 luglio, nella splendida cornice di Villa Sassi.

Ci racconta l’esperienza una delle docenti che ha seguito tutto il percorso con la classe, Elisa Segnaboni. Elisa insegna “Laboratori tecnologici ed esercitazioni abbigliamento e moda” al Cossar - Dal Vinci, un istituto professionale con vari indirizzi di studio: moda, meccanica, turismo, socio sanitario, spettacolo. Gli studenti sono 500 in tutto.

 

Diritto all’eleganza è entrato nella vostra scuola. Come avete accolto la proposta?

Non conoscevo né la Sezione né Alessandra Ferletti [la presidente della Sezione di Gorizia, n.d.r.], ci è arrivato il bando e abbiamo pensato che potesse essere un progetto interessante. Con la collega abbiamo coinvolto gli studenti della classe terza che si sono dimostrati molto ricettivi ed entusiasti. Per la parte progettuale di creazione dell’abito gli studenti si sono interfacciati direttamente con Alessia Spera, la modella della Sezione, lavorando sia sui colori che sull’adattamento dell’abito ai suoi gusti e alla sua personalità.

 

Come è stato l’incontro degli studenti con il mondo della disabilità e con UILDM? 

Noi siamo una scuola con un alto numero di studenti con disabilità di tipo sensoriale e motoria, circa il 10%. La classe è stata molto brava a rapportarsi con Alessia; non è sempre facile confrontarsi con la disabilità, ma il gruppo ti aiuta e ti dà coraggio per interagire. L’abbiamo conosciuta durante l’inverno attraverso degli incontri a distanza. Poi in aprile è avvenuto l’incontro in presenza. C’è stata una buona sintonia da entrambe le parti.
Inoltre la scuola durante l’anno scolastico ha collaborato con i volontari della Sezione di Gorizia in un altro progetto sul bullismo.

 

Pensare a moda inclusiva è possibile? Con quali percorsi e quali modalità?

Stefania Pedroni durante la sfilata ha fatto un discorso che mi ha colpito: è migliorata l’aspettativa di vita delle persone con malattie neuromuscolari, di conseguenza ci sono più possibilità di rimanere fuori casa, di andare al lavoro, di avere interazione sociale. Perciò è importante trovare un abbigliamento consono. Secondo me è questa la chiave per creare una linea per tutti i giorni adatta a persone con disabilità motoria, non necessariamente solo per occasioni eleganti. È sicuramente un aspetto che migliorerebbe la qualità della vita, perché se ho una linea dedicata a me e ai miei bisogni mi sento più riconosciuto nel mio ruolo all’interno della società.

 

Quali sono gli elementi che non devono mancare per progettare un abito per una persona con disabilità motoria?

Alessia, la nostra modella, ci ha dato delle indicazioni per la realizzazione dell’abito. Avevamo pensato a un abito intero, mentre Alessia ne ha chiesto uno diviso in due pezzi per facilitare la fase di vestizione. Ci ha suggerito un tessuto morbido e noi abbiamo scelto il jersey che aveva queste caratteristiche. Ci ha fatto escludere una serie di allacciature: per esempio niente cerniere o bottoni sulla schiena perché potevano dare fastidio appoggiandosi sullo schienale della carrozzina. Per quanto riguarda la polsiera, ci ha chiesto di non mettere bottoni, che potevano dare fastidio, ma un nastro perché non stringesse troppo.

 

Lavorare con le giovani generazioni: che valore ha per te?

Io ho sempre pensato a questo lavoro come a un trasmettere qualcosa ai ragazzi, qualsiasi cosa. Probabilmente non riuscirò a passare a tutti gli studenti la passione per questo lavoro. Ma se riuscirò a trasmettere anche a uno solo degli studenti questo amore e l’idea che la moda non è qualcosa di frivolo e che si può fare qualcosa di serio, per esempio un progetto sulla moda inclusiva; se riuscirò a dare l’idea di una società che funziona, che può accogliere tutti; se riuscirò a instillare anche solo un piccolo semino, sarò un’insegnante felice!

Cerco di spendermi sia per la mia materia che per lo stare insieme. Soprattutto in questi ultimi anni insegniamo a dei ragazzi a lavorare in gruppo, a collaborare tra di loro. Questo me lo prefiggo perché gli studenti entrano a far parte di una società.
La scuola, infatti, ha un peso importante nel trasmettere nozioni, ma serve anche a mostrare uno spaccato del mondo che c’è fuori e a preparare gli studenti a rispondere ad esso. Il progetto sul bullismo di cui abbiamo parlato prima, Diritto all’eleganza e altre progettualità sono utili per far vedere il mondo esterno. Ognuno di noi conosce il proprio mondo: forse abbiamo visto in TV la pubblicità del 5x1000 ma non siamo mai entrati in contatto con le malattie neuromuscolari. Conoscere Alessia ci ha fatto prendere più consapevolezza di alcune realtà che si trovano a pochi km da casa nostra. Io sono dell’idea che questo approccio arricchisca l’esperienza scolastica.

 

Come è stato il tuo primo incontro con il mondo della disabilità?

Il mio primo contatto è stato grazie a un cugino di papà che aveva la sclerosi multipla. Era originario del Friuli, ma lavorava in un’azienda di Torino e ha fatto di tutto in carrozzina. Faceva l’ingegnere e viveva in una delle prime case domotizzate, che comandava con la voce. Stiamo parlando dei primi anni ’90. Ho in mente una foto di lui seduto in aliante e ricordo che è stato ovunque. Quello che mi è rimasto impresso è che la sua disabilità non è mai stata un limite e che ha sempre vissuto al 100% la sua vita, senza farsi mai mancare nulla e affrontando le difficoltà a testa alta. Mi ha sempre trasmesso l’idea di una persona estremamente positiva: “ma come, è completamente fermo e va ovunque”, pensavo. Per me è stato un bell'insegnamento.
 

Come hai vissuto questo progetto?

Io sono rimasta colpita da quello che ho visto a Torino: un bellissimo ambiente, delle persone estremamente solari. Parlo sia degli studenti, dei modelli e delle modelle. Con il nostro lavoro ci è sembrato di regalare un attimo di spensieratezza a chiunque fosse coinvolto. Ho visto dei bellissimi abiti.
Fin da subito il progetto mi ha fatto un’ottima impressione. È stato importante passare ai giovani un messaggio di inclusione e l’idea che ci possono essere delle difficoltà nella vita, ma che con queste difficoltà possiamo convivere in maniera dignitosa. Con una cosa semplice come un abito, con un lavoro di ago e filo si può regalare un’ora, un pomeriggio, un momento di allegria a tutti. La cura di sé passa per l’attenzione al proprio aspetto fisico e alla scelta dell’abito; sappiamo tutti quanto questo possa essere terapeutico poter scegliere un abito e avere qualcosa che ci rispecchi!

(ap)

Ritratto di uildmcomunicazione

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