Distrofik VS professor Piccì (Politically correct)

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Un giorno, durante un’elettromiografia, il distrofico Matteo Debolini acquista per caso un curioso superpotere: in futuro gli basterà urlare la parola “Ipercipikappemia” e una volta al mese, per sessanta secondi, si trasformerà in Distrofik, un forzuto culturista. Dalla rubrica "Il mio distrofico" di Gianni Minasso (pubblicato sul n. 195 della rivista DM)

Muovendosi all’interno di una fitta caligine novembrina satura di smog, Matteo Debolini pilota la sua carrozzina verso il teatro cittadino, dov’è appena iniziata la conferenza “La parola e la disabilità”. Si tratta di un dotto simposio in cui, fra gli altri, il cavilloso professor Piccì dovrebbe rimarcare l’assoluta necessità di scegliere la terminologia più adatta nei confronti dei portatori di handicap. Arrivato a destinazione, Matteo varca la soglia del vetusto edificio e, superato il foyer deserto, spinge con le pedane i pesanti tendoni che immettono in platea. Così, seppur un po’ spettinato da queste cortine mobili, entra proprio mentre il professorone attacca la sua tiritera pro politically correct: “Bisogna porre un’estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto verso le categorie di persone svantaggiate. Quindi ogni nostra espressione deve evitare i pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche”. Tutto comprensibile e magari, qua e là, pure condivisibile, ma dopo venti minuti il sapiente relatore la fa fuori dal vaso: “…e quindi mi raccomando, quando vi trovate di fronte a persone in carrozzina, rivolgetevi sempre a loro con l’appellativo Diversamente abili”. A questo punto un sottile fil di fumo incomincia a uscire dalle orecchie di Matteo, che ormai ha deciso: è giunta l’ora! Le gomme della carrozzina, sollecitate dal joystick spinto al massimo, gemono sulla soffice moquette, mentre il nostro supereroe riguadagna il disabitato foyer. Acquattatosi dietro una marmorea colonna prorompe nel suo grido di battaglia: “Ipercipikappemia!” e, trasformatosi in Distrofik, corre in un battibaleno sotto al palco.

Qui Piccì sta blaterando “…di conseguenza il politically correct è…” ma la frase gli si smorza in gola poiché, piazzatosi a un centimetro dal suo naso, il vendicatore in incognito continua al suo posto urlando “Un’ipocrisia linguistica ostacolo alla libertà di espressione!”. E poi rincara la dose: “Infatti cambia le parole ma non i problemi. Se al posto di Negro e Handicappato usi Afroamericano e Diversabile non cancelli di certo il razzismo e le barriere architettoniche!”. L’uditorio tace allibito, ma Distrofik ha ancora qualcosa da dire: “Tu e tutta la stirpe dei politicamente corretti, ficcatevi una buona volta in quelle testacce piene di cacca di pollo che noi in carrozzina siamo persone e non barattoli di marmellata da etichettare a tutti i costi. Quindi chiamami Maaa… rco!” e quasi gli sfugge il suo vero nome. Piccì farfuglia: “Aiuto, ma cosa vuole questo qui? Non è neppure disabile…”. Però il fatidico minuto sta per scadere e Distrofik deve spicciarsi: prende lo slancio e prima sistema uno sberlone da gran premio a cavallo del naso del professore, poi conclude l’operazione con una pedata atomica nell’augusto fondoschiena seguita da un beffardo saluto: “Ciao, Diversamente illeso!”. Solo in questo momento gli altri conferenzieri tentano di intervenire per calmare la tempesta ma, approfittando della confusione che ne segue, il giustiziere sgattaiola oltre i tendoni, accompagnato dai fragorosi osanna dei disabili presenti in sala. Sedutosi di nuovo in carrozzina, Matteo ridiventa distrofico doc e quindi accende a fatica il joystick, azionandolo poi dolcemente per uscire dal teatro. Ritornato in strada, viene subito inghiottito da una miriade di passanti indifferenti, tutti chiusi nell’ego dei propri pensieri, dei propri guai. Un brivido gli zigzaga lungo la schiena: sarà il freddo o...

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