Caregiver e progetti di Vita Indipendente

share on:

Questo intervento di Marco Rasconi è un contributo sul tema dei caregiver pubblicato in precedenza sul sito Informare un'h.

In questo contributo porto un triplice punto di vista: la mia esperienza di persona con disabilità, di responsabile dell’Agenzia per la Vita Indipendente della LEDHA di Milano, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, e di presidente UILDM, Associazione che da sempre si occupa di Vita Indipendente.

Il caregiver è uno strumento – odio questa parola, ma scelgo di usarla per spiegare una delle dimensioni di questa figura – attraverso il quale noi, persone con disabilità, esprimiamo la nostra capacità di autodeterminarci. La mia posizione presuppone che vi sia da parte nostra la capacità di esprimere i nostri bisogni e individuare le modalità per soddisfarli, una capacità che va allenata e che arriva nel momento in cui siamo consapevoli di noi stessi.
È ovvio che a seconda del tipo di disabilità la capacità di autodeterminarsi cambia, ma ciò non implica che solo le persone con disabilità fisiche possano farlo. Ognuno di noi, anche chi ha una disabilità cognitiva, ha gli strumenti per raccontare il proprio bisogno e per fare delle scelte.
Nel contesto di un progetto di Vita Indipendente chiunque può essere caregiver, se la persona con disabilità sa come chiedere aiuto e sa che cosa vuole, perché il ruolo di questa figura non si riduce a pura assistenza.

L’obiettivo della Vita Indipendente, che poco si discosta dal progetto di vita promosso dall’art. 14 della Legge 328 del 2000, consiste nel dare alla persona con disabilità gli strumenti per esprimere quello che vuole essere e ciò che vuole fare, mettendola al centro di un progetto e di una rete.
Uno degli aspetti fondamentali in questi processi è, come accennato inizialmente, l’autodeterminazione personale, che va allenata. I progetti di Vita Indipendente, non sono il fine ultimo da perseguire, ma il mezzo per allenare la persona a capire come raggiungere i propri obiettivi. Troppo spesso manca la cultura di cosa è il progetto di vita, che viene raccontato come un punto di arrivo, quando invece il punto di arrivo è la realizzazione di una vita piena e consapevole da parte della persona con disabilità.
Per questo il progetto segue i cambiamenti della persona. Come una persona cambia nella vita, così cambiano i desideri e i bisogni. Se partiamo da questo presupposto, anche il concetto di Vita Indipendente è in continua evoluzione, perché si adatta ai cambiamenti della persona e dell’ambiente circostante. Faccio un esempio: l’evoluzione tecnologica permette a me, persona con una grave disabilità, di stare anche da solo in alcuni momenti, perché la tecnologia supplisce ad alcune delle mie necessità.

Voglio sfatare il mito che Vita Indipendente voglia dire avere un caregiver o un assistente a disposizione per 24 ore al giorno. Se la pensassimo così, il caregiver sarebbe solo uno strumento. Al contrario, il caregiver è prima di tutto una persona con tutta una serie di dinamiche interpersonali da tenere in considerazione. Dinamiche che si esplicitano nel rapporto con la persona con disabilità, e che non possono essere semplificate o considerate solo sul piano del compenso economico.

Nella mia esperienza ho sempre notato che prima si inizia un percorso di autodeterminazione e Vita Indipendente, prima evitiamo che si inneschino dinamiche relazionali autodistruttive nel rapporto tra genitori e figli. Anzi, il progetto di Vita Indipendente serve a recuperare i ruoli all’interno della famiglia. Grazie ad esso il genitore torna a essere educatore e non il badante. La stessa cosa vale per gli altri membri della famiglia. Trovare un equilibrio in questi aspetti è complesso ma prima si comincia, meglio è per tutti.

Un progetto di Vita Indipendente prevede un sollievo per il caregiver famigliare perché si utilizzano strumenti che permettono alla persona con disabilità di esprimersi al di fuori del rapporto con il caregiver. Sono progetti che consentono alla persona di essere maggiormente protagonista della propria vita, perché tutelano dalle dinamiche di interdipendenza. Questo porta a una crescita della persona con disabilità, crescita che si rispecchia anche nei rapporti (amicali, affettivi) diversi da quelli famigliari. Questi rapporti sono costruiti nel rispetto del caregiver, che – lo ribadisco – non è più un semplice strumento (retribuito o meno) tenuto a dare una risposta, ma è una persona che ha il bisogno e la necessità di esprimersi tanto quanto la persona che accudisce.

In conclusione sottolineo che il progetto di Vita Indipendente deve mettere al centro la persona e il suo bisogno ma, per stare in equilibrio, deve considerare il caregiver e tutti gli attori in campo, a loro volta con i propri limiti e le opportunità, nel rispetto di tutti.

Ritratto di uildmcomunicazione

uildmcomunicazione