Distrofia oculo-faringea

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*Giulia Ricci

La distrofia muscolare oculo-faringea (OPMD, da Oculo-Pharyngeal Muscular Dystrophy) è una forma di distrofia muscolare con peculiari caratteristiche cliniche, trasmessa generalmente come tratto autosomico dominante. La malattia esordisce in genere nella quinta decade di vita con ptosi (abbassamento delle palpebre) associato a disturbi della motilità degli occhi (oftalmoparesi) e della deglutizione; può comparire anche debolezza muscolare agli arti, anche se raramente la malattia comporta una grave disabilità motoria.

Il sospetto clinico può essere rinforzato dalla biopsia muscolare, che mostra tipiche alterazioni  quali i “vacuoli orlettati” nelle fibre muscolari e “inclusioni filamentose” nei nuclei delle cellule muscolari. La conferma diagnostica si ottiene con il test del DNA. La malattia  è causata da piccole espansioni sequenza nucleotidica GCG all’interno dell’esone 1 del gene della proteina poly(A)-binding 2(PABP2), che ha sede sul braccio lungo del cromosoma 14 (14q11.1). Tale mutazione causa l’allungamento della proteina la quale forma così i tipici filamenti intranucleari.

La distrofia muscolare oculofaringea presenta analogie nei meccanismi patogenetici che ne sono causa con altre malattie neurodegenerative da espansione di triplette nucleotidiche (sequenze di polialanina o poliglutamina), che producono accumulo di proteine erroneamente configurate (misfolding) con effetto tossico sulle cellule, come la distrofia miotonica di Steinert e la corea di Huntington.

Storia ed epidemiologia
La prima descrizione di una malattia familiare caratterizzata da compromissione dei muscoli della deglutizione associata a ptosi palpebrale risale al 1918 da parte di Taylor. In modo indipendente Amyot, un neurologo franco-canadese, descrisse la medesima affezione nel 1945 e solo nel 1962 Victor e collaboratori a Boston ne caratterizzarono l’espressione clinica e l’ereditarietà autosomica dominante, definendola per la prima volta come “distrofia muscolare oculo-faringea”. Da allora l’OPMD è stata riportata in varie popolazioni mondiali, con una maggiore prevalenza tra le popolazioni franco-canadesi e tra gli Ebrei Bukhara.

Infatti, pur trattandosi di una malattia diffusa in tutto il mondo, esistono alcuni aggregati di più alta frequenza. Nelle popolazioni franco-canadesi, la mutazione è stata ricondotta a tre sorelle francesi che nacquero in Francia nel 1648 e che migrarono poi nel Quebec. La prevalenza in Europa di OPMD è stimata in un caso ogni 100.000 nati.

Caratteristiche genetico-molecolari
Il gene PABP2, che codifica per la proteina poly(A)-binding 2, presenta normalmente al proprio interno 6 ripetizioni del trinucleotide GCG. Nelle persone affette viene osservata un’espansione da 8 a 13 volte della sequenza GCG, con un corrispondente allungamento della proteina PABP2, che ne determina un erroneo ripiegamento. L’espansione a 7 ripetizioni non produce di per sé la malattia e viene osservata nel 2% della popolazione generale; quando però è presente in omozigosi – ereditata cioè da tutti e due i genitori – può causare una forma intermedia della malattia, autosomica recessiva. Quando poi un genitore non affetto trasmette un’espansione a 7 ripetizioni e l’altro genitore affetto ne trasmette una di 9 o più, la manifestazione clinica (il cosiddetto fenotipo) peggiora. È possibile pertanto stabilire una certa correlazione tra il tipo di mutazione e l’espressione clinica. La mutazione è stabile nelle varie famiglie e non presenta variabilità di espressione tessutale.

Caratteristiche cliniche
Il quadro clinico della malattia è relativamente uniforme. L’esordio avviene di solito tra la quinta e la sesta decade di vita, ma sono segnalati anche casi ad esordio prima dei trent’anni di età. Nel 60-70% dei casi il primo segno è l’abbassamento delle palpebre – in genere asimmetrico – associato nel 50% circa dei casi a limitazione dell’escursione dei movimenti oculari senza sdoppiamento della visione, seguito a distanza variabile da disturbi della deglutizione. La compromissione dei muscoli prossimali degli arti– più spesso quelli inferiori – è presente in modo variabile e compare più tardivamente;  tuttavia sono stati descritti rari casi esorditi proprio con debolezza prossimale a carico del cingolo scapolare e pelvico.

La principale diagnosi differenziale è con le malattie della giunzione neuromuscolare (miastenia), con le malattie mitocondriali, malformazioni vascolari ed altre patologie degenerative croniche del sistema nervoso centrale, con paralisi dei muscoli oculomotori.

Esami strumentali e di laboratorio
Il sospetto diagnostico – formulato sulla base della presentazione clinica ed eventualmente della storia familiare – può essere confermato dalle indagini strumentali e di laboratorio e dalla biopsia muscolare. I valori di CK sierica possono essere normali o lievemente aumentati, mentre l’elettromiografia mostra alterazioni miopatiche, associate o meno a componenti neurogene.

La biopsia muscolare evidenzia – accanto ad alterazioni miopatiche aspecifiche in vario grado – fibre contenenti i tipici vacuoli “orlettati” (rimmed vacuoles). Sono anche descritte alterazioni morfologiche dei mitocondri, tuttavia i dosaggi biochimici degli enzimi mitocondriali sono frequentemente nella norma. Con l’esame al microscopio elettronico si osservano tipiche inclusioni dentro ai nuclei, consistenti in filamenti di 8,5 nanometri. L’analisi genetica, infine, può identificare la sequenza di espansione e confermare la diagnosi.

Trattamento
Il principale intervento terapeutico è volto alla prevenzione delle complicazioni della malattia, cioè il disturbo della deglutizione (disfagia) e la ptosi palpebrale. Per quest’ultima è indicato l’intervento di blefaroplastica con sospensione frontale quando il campo visivo è limitato in modo significativo; alcuni pazienti utilizzano con successo piccoli cerotti palpebrali, i medesimi usati dai chirurghi plastici per ragioni estetiche.

Per quanto poi riguarda la disfagia – che può essere documentata con esame videofluorografico – è importante impostare una dieta alimentare di consistenza adeguata, associata a riabilitazione logopedica. Nei casi più avanzati possono essere indicati la miotomia crico-tiroidea in casi selezionati oppure la gastrostomia percutanea. Le difficoltà nella deglutizione possono associarsi a un progressivo calo ponderale e malnutrizione. Un’attenta valutazione nutrizionale è pertanto fondamentale. Inoltre, i pazienti con disfagia possono andare incontro, se non adeguatamente trattati, a rischio di aspirazione di cibo nelle vie respiratorie e polmonite ab ingestis.

La ricerca nella distrofia muscolare oculofaringea
Il meccanismo patogenetico dell’OPMD è comune a quello di altre malattie neurodegenerative da espansione ed il tratto espanso del DNA viene studiato come possibile bersaglio terapeutico. La terapia curativa potrà derivare da promettenti studi di terapia genica in corso anche per altre malattie da espansione nonché da studi su modelli animali di malattia.

Conclusioni
La diagnosi di distrofia oculo-faringea dev’essere sospettata in tutti i casi di insorgenza tardiva e lentamente progressiva di riduzione della rima palpebrale, associata o meno a limitazione dei movimenti oculari e debolezza in altri distretti, senza importante sdoppiamento della vista, con o senza disturbi della deglutizione. La positività della storia familiare rafforza poi il sospetto diagnostico. Poiché l’esordio avviene in età più avanzata, talvolta patologie acquisite concomitanti possono confondere il quadro clinico e ritardare i tempi per una corretta diagnosi.

* Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa.

Testo aggiornato nell'agosto 2018. 

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Coordinamento Commissione Medico-Scientifica UILDM, c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.

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