L'intelligenza della distrofina - incontro con Irene Bozzoni*

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Gruppo di ricerca di Irene Bozzoni Irene Bozzoni (a destra) con il suo gruppo di ricerca

Se la distrofina, proteina assente nelle persone affette da distrofia di Duchenne, non ha solo la funzione meccanica di fare contrarre i muscoli, ma anche quella di fornire informazioni specifiche ad altri geni che controllano lo stress ossidativo e la fibrosi, allora si potrebbe mettere a punto una terapia genica che ripristinasse questa sua capacità e non più solo quella meccanica.
È quanto ha dimostrato un team di ricerca italiano - finanziato anche dalla Fondazione Telethon e da Parent Project ONLUS - che lavora all’interno dell’Università La Sapienza di Roma, sotto la guida di Irene Bozzoni.
Ora occorrerà tradurre l’importante esito della ricerca - pubblicata dalla rivista «Cell Metabolism» - in risposta farmacologica. Questo significa che si tenteranno di individuare strategie terapeutiche che, «se si dimostreranno efficaci e prive di effetti collaterali, potranno affiancarsi a quelle già attualmente in avanzata fase di sperimentazione nei bambini con la distrofia di Duchenne», come precisa Tiziana Mongini, presidente uscente della Commissione Medico-Scientifica UILDM, nell’accogliere con entusiasmo la scoperta di «un nuovo tassello sulla via della comprensione dei meccanismi che portano alla degenerazione muscolare nella distrofia muscolare di Duchenne».

L’RNA è un possibile farmaco
La squadra di Irene Bozzoni attualmente studia l’RNA e in particolare le diverse classi di piccoli RNA non codificanti (sncRNA) e presenti nelle cellule umane.
L’RNA - va ricordato - è una molecola di acido nucleico fondamentale per il funzionamento della cellula e tra le sue funzioni vi è quella di trasportare l’informazione genetica del DNA al citoplasma, dove viene decodificata in proteine. Recentemente sono state identificate molte nuove funzioni dell’RNA che potrebbero avere interessanti sbocchi terapeutici. «Siccome è una molecola multifunzionale, altamente versatile e capace di diverse reazioni - spiega la professoressa Bozzoni - essa potrebbe essere utilizzata come farmaco, mettendo a punto oligoribonucleotidi sintetici chimicamente modificati. Abbiamo capito, infatti, che l’RNA può essere sfruttato come agente terapeutico per modificare specificamente l’espressione di geni di interesse nel campo della terapia molecolare delle malattie genetiche».

Duchenne e distrofina
Abbiamo dunque chiesto a Bozzoni perché gli studi del suo team si siano concentrati proprio sulla distrofia di Duchenne. «Perché - ci ha risposto - si tratta di una malattia causata dalla mancanza di un solo gene. Le cellule dei pazienti non sono in grado di produrre la proteina chiamata distrofina e questo, ovviamente, aiuta la ricerca a focalizzarsi su un unico punto specifico».
Ma che cos’è esattamente la distrofina? «Com’è già ben noto, è una proteina assente nei pazienti con distrofia di Duchenne, situata sulla superficie delle cellule muscolari in associazione con una serie di altre proteine. Finora si pensava che avesse solo un ruolo meccanico e che la sua assenza rendesse la membrana più fragile a ogni contrazione e più permeabile a fattori esterni, fino a portare alla morte delle fibre muscolari e di conseguenza all’instaurarsi di un processo infiammatorio cronico, che a poco a poco sostituisce il muscolo, con vere e proprie cicatrici di tessuto fibroso incapaci di contrarsi».
«Oggi invece - prosegue la ricercatrice della Sapienza - abbiamo scoperto che la distrofina ha anche una funzione più sofisticata, controllando cioè l’attività di specifici geni che hanno un ruolo rilevante nel mantenere l’omeostasi muscolare. In assenza di distrofina, tale funzione viene meno, contribuendo al peggioramento della malattia. Nel nostro lavoro abbiamo dimostrato che questi geni codificano per RNA microscopici (microRNA), che controllano funzioni importanti nel processo degenerativo della Duchenne, quali lo stress ossidativo e la fibrosi. Quando questo ruolo viene meno, la cellula muscolare si ammala progressivamente».
«Questi piccoli RNA - conclude Bozzoni - potrebbero quindi essere utilizzati come “farmaci intelligenti”, in grado di mettere le cellule muscolari sulla strada giusta. Sono farmaci che agiscono in modo molto specifico e che esercitano un effetto anche in piccole quantità».
Ma ora - le chiediamo - a che punto è la ricerca? «Quelle che abbiamo proposto sono osservazioni teoriche che provengono dalla ricerca di base. Dobbiamo ancora iniziare la fase sperimentale. Viceversa, siamo in fase avanzata con la sperimentazione del cosiddetto exon-skipping [“salto dell’esone”, N.d.R.]».

L’exon-skipping
«Una decina di anni fa - spiega infatti la ricercatrice, soffermandosi sull’exon-skipping - alcuni laboratori hanno messo a punto una strategia di ricostruzione della distrofina, modificandone l’RNA messaggero. Si rimuove la regione contenente la mutazione patologica, arrivando alla possibilità di produrre una proteina sana, un po’ più corta, ma ancora funzionale. Abbiamo portato avanti queste ricerche, pensate inizialmente per la talassemia, e nel 2002 siamo stati tra i primi a ottenere un risultato positivo per la Duchenne».

Diceva che si tratta di una ricerca in fase avanzata.
«Sì, abbiamo ceduto infatti il brevetto a una ditta olandese specializzata nella creazione di virus capaci di portare geni terapeutici alle cellule muscolari. In questa fase stanno facendo dei test preclinici sui maiali e poi la sperimentazione, non prima di un anno e mezzo o due, passerà all’uomo».

Ma quale differenza c’è tra l’exon-skipping e la recente vostra scoperta sui microRNA?
«Con la prima strategia si ricostruisce la distrofina, mentre con la seconda si punta a produrre dei microRNA che collaborino con la distrofina. Si tratterebbe, in quest’ultimo caso, di una tecnica che non sostituisce, ma migliora gli effetti dell’exon-skipping».

Come vengono assunte queste sostanze dai pazienti?
«La nostra ricerca - sia per quanto riguarda l’exon-skipping che i microRNA - mira a mettere a punto una terapia genica. Ci sono altri laboratori, invece, che hanno messo a punto terapie farmacologiche per cui l’effetto terapeutico dura due settimane, ovvero fintantoché permane il farmaco. Il problema, qui, è capire se l’assunzione prolungata può avere effetti collaterali indesiderati. La nostra idea, invece, è quella di modificare le fibre muscolari stabilmente, introducendo dei geni che possano permettere la sussistenza dell’effetto terapeutico a lungo termine, anche per diversi anni». (Barbara Pianca)

*Università La Sapienza di Roma.

Intervista concessa alla Redazione di DM nel novembre del 2010.

Per ulteriori dettagli o approfondimenti:

Coordinamento della Commissione Medico-Scientifica UILDM (referente: Crizia Narduzzo), c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.

Data dell’ultimo aggiornamento: 15 novembre 2014.

 

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Margaret

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