di Luisella Bosisio Fazzi *
Parte “leggera” Luisella Bosisio Fazzi, con un motivetto assai noto, ma l’analisi e i dati sulla condizione delle ragazze e delle donne con disabilità – soprattutto quelli sul fenomeno della violenza – sono impietosi. «Le voci delle ragazze e delle donne con disabilità italiane si alzano in ogni momento della loro vita personale, sociale ed associativa per chiedere attenzione sulla loro condizione. Peccato che queste voci di donne vengano sovrastate se non zittite nella pratica quotidiana in nome di una presunta irrilevanza del genere quando si considera la condizione di disabilità, e questo succede fuori ma purtroppo anche dentro il movimento della disabilità», scrive in una riflessione lucida e preziosissima, da leggere con molta attenzione. (Simona Lancioni)
“Donne du du / In cerca di guai
Donne a un telefono che non suona mai”
Belle queste parole di Zucchero. Sembrano uno slogan perfetto per un movimento femminista delle ragazze e donne con disabilità. Un movimento che non c’è. Un movimento di cui in Italia si sente forte la mancanza. Secondo l’EIGE (European Institute for Gender Equality) [1] in Europa sono circa 80 milioni i cittadini europei con disabilità e le donne rappresentano il sessanta per cento di questa popolazione.
Sempre secondo l’EIGE, è vero che le persone con disabilità (siano esse donne o uomini con disabilità) affrontano disparità a causa della loro condizione, ma è altrettanto vero che le loro esperienze variano a seconda del genere. Infatti analizzando la situazione delle donne con disabilità risulta che sono le più svantaggiate sia tra le persone con disabilità che tra le altre donne. Nella pratica la situazione delle donne con disabilità non solo è peggiore di quella delle donne senza disabilità, ma anche peggiore di quella dei loro coetanei maschi con disabilità. Si desume quindi che le donne e le ragazze con disabilità affrontano quotidianamente discriminazioni multiple e intersezionali basate sul loro genere e sulla loro disabilità e questo le ostacola se non impedisce loro di prendere decisioni sulla propria vita.
L’European Disability Forum (EDF), sempre attento agli interessi delle persone con disabilità, ha sentito forte il bisogno di attivare un Comitato Donne con tre obiettivi fondamentali:
- Garantire che tutti membri EDF siano pienamente informati sui lavori del Forum riguardanti le donne e le ragazze con disabilità e l’uguaglianza di genere.
- Garantire che tutti gli interventi dell’EDF verso l’UE e le Nazioni Unite tengano conto della prospettiva delle ragazze e delle donne con disabilità.
- Intraprendere annualmente una strategia istituzionale operativa su temi discussi all’interno del Comitato Donne da proporre a tutto l’EDF.
Quale primo argomento su cui porre attenzione è stato proposto il tema della sterilizzazione forzata con una campagna dal titolo “Fermare la sterilizzazione forzata delle ragazze e delle donne con disabilità”. Un tema molto controverso ma soprattutto molto esteso nei Paesi Europei dove è una pratica legalizzata. Nel mese di maggio 2017 è stato pubblicato un report nel quale si illustrano i miti alla base della sterilizzazione forzata e le conseguenze negative della sterilizzazione forzata sul godimento di tutti i diritti umani per tutte le donne e le ragazze con disabilità. Un report che evidenzia la stretta relazione tra questa pratica e la privazione della capacità giuridica, e descrive la situazione attuale in Europa. Infine, offre una panoramica degli attuali standard sui diritti umani e della giurisprudenza sull’argomento.
Lo scorso 5 dicembre il Comitato Donne dell’EDF ha organizzato una Audizione al Parlamento Europeo con l’obiettivo di sensibilizzare i Parlamentari Europei, i dirigenti delle Istituzioni Europee nonché delle Organizzazioni non Governative sulla necessità di porre fine alla sterilizzazione forzata di donne e ragazze con disabilità e per chiedere a gran voce il divieto di tutte le forme di violenza contro le donne. L’audizione ha visto come relatrici donne con disabilità e donne appartenenti a minoranze etniche (con disabilità e senza disabilità) che hanno subito direttamente questa pratica.
Il prossimo 4 e 5 marzo il Comitato Donne EDF si riunirà per decidere la propria strategia annuale ma soprattutto attiverà, per i propri membri (che sono tutte donne e non esiste il femminile di questo termine), un percorso di formazione ed informazione sulla parità di genere e sui diritti delle ragazze e donne con disabilità; incontrerà l’Unità sull’uguaglianza di genere della Commissione Europea (DG Justice), e i Parlamentari Europei facenti parte del Gruppo Interparlamentare sulla disabilità; incontrerà anche le rappresentanti della Lobby europea delle donne (European Women’s Lobby) per conoscere il loro lavoro e per condividere con loro l’importanza dell’ascolto della voce delle donne con disabilità.
E in Italia cosa succede? Qual è il livello di discussione sulla questione di genere e disabilità? Qual è il livello di ascolto sulla questione di genere e disabilità?
Innanzitutto le voci delle ragazze e delle donne con disabilità italiane si alzano in ogni momento della loro vita personale, sociale ed associativa per chiedere attenzione sulla loro condizione. Peccato che queste voci di donne vengano sovrastate se non zittite nella pratica quotidiana in nome di una presunta irrilevanza del genere quando si considera la condizione di disabilità, e questo succede fuori ma purtroppo anche dentro il movimento della disabilità.
È certo che nell’esaminare le vite delle persone con disabilità si trascura di esplorare ed analizzare l’influenza che il genere ha su di esse. La società civile, che comprende anche il movimento della disabilità, e quella politica fanno fatica a riconoscere la discriminazione determinata dalla combinazione di genere e disabilità. Tutto ciò ha portato ad una mancanza di interesse nel pensare alle necessità specifiche delle ragazze e delle donne con disabilità e quindi nel produrre analisi e riflessioni, nel progettare interventi e prassi, nel proporre politiche ed azioni specifiche in tutti gli ambiti di vita.
In questo momento storico la nostra società si sta interrogando sul fenomeno della violenza, degli abusi e dei maltrattamenti subiti dalle donne. Un fenomeno da tutti considerato odioso ma che purtroppo non trova ancora radicali e rapide soluzioni. Nonostante le affermazioni di condanna e nonostante le normative nazionali di contrasto al fenomeno risalgano al secolo scorso (Legge 66/1966 e successive) solo negli ultimi anni si sta concretizzando la volontà politica di studiare tale fenomeno per contrastarlo.
È dello scorso 6 febbraio 2018 l’approvazione della Relazione finale della “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” [2]. Una relazione che indaga la dimensione del fenomeno in Italia attraverso l’analisi dei dati, del quadro normativo vigente internazionale e nazionale, della valutazione di impatto delle normative, dello studio di casi delle sentenze di femminicidio, del piano nazionale straordinario contro la violenza sulle donne, degli interventi di rete a tutela delle vittime, della protezione della vittima e del trattamento dell’autore del reato, della prevenzione della violenza attraverso il cambiamento culturale, delle criticità e prospettive di riforma.
In ognuno di questi ambiti c’è poca attenzione alla situazione delle ragazze e donne con disabilità. O meglio la relazione è consapevole di non aver potuto esplorare il fenomeno in relazione a questo gruppo di donne. Bisogna riconoscere alle estenditrici (Treccani) ed agli estensori della Relazione l’onestà e la sincerità nell’ammettere questa criticità, tant’è che nel finale è stato inserito un punto [3] che così recita:
«In considerazione dei rilievi emersi nell’esame della tematica della violenza subita dalle donne con disabilità, alla quale è dedicata una parte del paragrafo 2.2 del capitolo 2, la Commissione ritiene fondamentale che nelle rilevazioni statistiche riguardanti il fenomeno della violenza di genere venga specificamente evidenziato e raccolto il dato relativo a tale forma di violenza, per la prevenzione della quale devono essere anche previste misure apposite nei piani predisposti per il contrasto alla violenza di genere.»
Questa necessità di attenzione la ritroviamo anche nella Relazione 2017 sul fenomeno della violenza di genere, acquisita attraverso la registrazione delle chiamate pervenute al numero 1522 [4] attivato, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità e gestito dall’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa. Relazione dove sono riportati alcuni dati relativi alla condizione di disabilità delle vittime di violenza.
Nel testo, a pagina 25 e 26, viene affermato che si tratta «della registrazione di un fenomeno che non trova mai spazio adeguato nei report di analisi e monitoraggio. Invece il fenomeno è esteso e poco sanzionato e scarsamente ottiene la rilevanza dovuta. Su questo aspetto occorrerebbe una maggiore riflessione ed attenzione sociale per prevenire meglio e con maggiore efficacia.
Confrontando percentualmente per genere, all’interno dei maschi la quota percentuale (6,40%) è superiore rispetto alle donne (2,27%) ed anche questo dato può dare spunto a diverse osservazioni in merito a possibili forme di violenza assistita da parte di persone vicino alle donne con forme di disabilità. Ovviamente si tratta di un aspetto da approfondire meglio e tenere sotto osservazione anche da parte del policy maker e di chi è preposto a definire azioni concrete di contrasto alla violenza. [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.].
È bello, in termine di prospettiva futura, leggere in documenti generalisti una attenzione specifica alla condizione delle donne con disabilità all’interno del fenomeno della violenza. Un’attenzione che rimanda però ad azioni ben precise.
Un’attenzione che con stupore si fatica a vedere nel Secondo Programma d’Azione biennale sulla disabilità. Programma discusso e redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità [5].
Una disattenzione che fa male perché all’interno degli estensori del Secondo Programma, quali membri nominati per decreto e membri dei gruppi di lavoro, sono presenti rappresentanti del movimento della disabilità italiano.
Rappresentanti che conoscono, o dovrebbero conoscere, la dimensione del fenomeno e la fatica a farlo emergere.
Come è possibile che nonostante le timide ed insufficienti indagini dell’ISTAT che rilevano le violazioni e la Raccomandazione n. 43 e l’Osservazione Conclusiva n. 44 del Comitato ONU sulla CRPD all’Italia e quindi all’Osservatorio ci si trovi con una assenza totale di riferimenti e azioni di contrasto alla violenza nei confronti delle ragazze e donne con disabilità?
Per quali ragioni si è deciso di non inserire interventi di indagine, interventi di contrasto, interventi di protezione e tutela delle ragazze e donne con disabilità vittime di violenza; azioni di informazione e sensibilizzazione sul fenomeno per le ragazze e le donne con disabilità, campagne per migliorare l’accessibilità dei centri antiviolenza e la formazione dei loro operatori sul riconoscimento dell’atto violento ed il suo legame con la disabilità della vittima.
Tre sono le domande da porre: Quali sono state le motivazioni di questa assenza? La violenza contro le ragazze e le donne con disabilità è una priorità? Esiste una questione femminile all’interno del movimento della disabilità?
E qui dobbiamo riprendere la Raccomandazione n.13 e l’Osservazione Conclusiva n. 14 del Comitato Onu sulla CRPD all’Italia che recitano molto chiaramente:
«13. Il Comitato è preoccupato perché non vi è alcuna sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la condizione di disabilità.
14. Il Comitato raccomanda che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative. Il Comitato raccomanda che lo Stato parte tenga in considerazione l’articolo 6 della Convenzione ed il Commento Generale del Comitato no. 3 nell’attuazione dell’Obiettivo per lo Sviluppo Sostenibile n. 5, nei punti 5.1, 5.2 e 5.5.»
Questo non è un generico invito ma un forte richiamo agli obblighi derivanti dalla Ratifica della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità. Una Legge Italiana (Legge 18/2009) che tutti sono obbligati a rispettare.
In questo momento storico abbiamo, come donne con disabilità, un’altra opportunità che dobbiamo cogliere al volo per far emergere il fenomeno della violenza di genere. La Raccomandazione n 41 ed l’Osservazione Conclusiva 42 del Comitato ONU sulla CRPD all’Italia chiedeva di estendere il mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione [6] anche alle strutture per persone con disabilità.
«41. Il Comitato è preoccupato per il fatto che la delega di mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione (MNP) non si estende alle istituzioni psichiatriche o altre strutture residenziali per persone con disabilità dove esse vengono privati della loro libertà.
42. Il Comitato raccomanda che l’MNP visiti immediatamente gli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, specialmente quelle con disabilità intellettive o psicosociali, e riferisca sulla loro condizione.»
Ebbene l’“Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale” dichiara che «… ha appena realizzato una mappatura delle strutture per persone con disabilità in Italia e che nei prossimi giorni metterà a regime il loro monitoraggio al fine di prevenire possibili abusi o trattamenti inumani o degradanti nonché improprie forme di contrazione della libertà» [7].
Questa notizia è buona perché significa che su questo ambito l’Italia ottempera all’obbligo della Convenzione ed è buona perché è l’occasione per raccomandare di ricomprendere tra gli abusi e i trattamenti inumani e degradanti anche gli abusi e le violenze sessuali, nonché di raccogliere dati sul fenomeno in forma disaggregata per genere, per età, per tipo di disabilità e tipologia di struttura.
È difficile? Si. È complesso? Si. È impossibile? NO!
Dopo la Relazione della Commissione del Senato sul femminicidio, dopo la Relazione sul servizio 1522, dopo l’impegno del Garante dei diritti delle persone private della libertà non possiamo più girare la faccia dall’altra parte e dobbiamo pretendere che anche l’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità indichi chiaramente quali percorsi di lotta alla violenza subita dalle ragazze e dalle donne con disabilità si debbano intraprendere.
E ritorniamo alla canzone di Zucchero, “donne (du du) in cerca di guai” ovvero donne con disabilità che non accettano di venire discriminate e violate nei loro diritti umani. Donne quindi pronte a sopportare critiche e spingere per azioni di “emersione” dalla invisibilità della loro condizione. “Donne ad un telefono che non suona mai” ovvero donne che non aspettano che qualcuno le chiami ma che saranno loro stesse a chiamare.
* Presidente della Fondazione Orizzonti Sereni, componente del Forum Italiano sulla disabilità (FID), consigliera LEDHA- FISH Lombardia, membro Gruppo di Lavoro redazione Rapporto Alternativo sull’Italia per il Comitato ONU CRPD, UPR, CEDAW, CESCR, CRC, CCPR.
Vedi anche:
Simona Lancioni, La disabilità nelle Linee guida per il soccorso alle donne vittime di violenza, «Informare un’h», 7 febbraio 2018.
Simona Lancioni, Il programma d’azione sulla disabilità e la prospettiva di genere, «Informare un’h», 16 gennaio 2018.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
(Il presente testo è stato pubblicato su Informare un'H e viene ripreso per gentile concessione dell'autore)