L’approfondimento è a cura di Barbara Pianca e Daniele Ghezzo, Psicologo consulente in sessuologia (Foto: Sumo Project)
La sessualità è una per tutti, è un bisogno primario e le persone con disabilità non sono angeli. Hanno una vita sentimentale e sessuale come gli altri e, se non ce l'hanno, la desiderano nella misura in cui la desiderano tutti. Sette pagine per scardinare i pregiudizi.
- Introduzione - Stefania Pedroni (Referente per gli aspetti psicologici della Direzione Nazionale UILDM)
- Caso N.1/ Quelli che desiderano una relazione e incontrano i pregiudizi
- Caso N. 2/ Quelli che desiderano appagare il proprio bisogno sessuale
- Caso N. 3/ Quelli che sono in coppia
- Il libro: “Non volevo morire vergine” – Intervista di Francesca Arcadu
- La controversa figura dell’assistente sessuale
- Cos'è il devotismo
- Pensieri segreti: Le confidenze al sessuologo
Introduzione di Stefania Pedroni, Referente per gli aspetti psicologici della Direzione Nazionale UILDM
Uno Speciale dedicato alla sessualità nella disabilità non compariva da alcuni anni nel nostro giornale e per questo ci è sembrato fosse giunto ora il momento di tornare con i lettori su un tema tanto intimo, delicato e, allo stesso tempo, fondamentale nella vita di ognuno. Desideriamo farlo a partire da una precisazione: non esiste la sessualità delle persone con disabilità. Non ne esiste, cioè, una di specifica per i disabili. La sessualità è una, la stessa, per tutti. Dentro a questa parola universale ci stanno l'accadimento sessuale vero e proprio e, insieme, la condivisione di sentimenti, sensazioni, la complicità e, prima ancora, il desiderio e il corteggiamento. Quello che cambia, con la disabilità, e che giustifica uno Speciale sul tema “sessualità e disabilità”, è solo l'azione. Ci sono, cioè, diversi modi di agire la sessualità e ognuno deve fare i conti La sessualità è una per tutti, è un bisogno primario e le persone con disabilità non sono angeli. Hanno una vita sentimentale e sessuale come gli altri e, se non ce l'hanno, la desiderano nella misura in cui la desiderano tutti. Sette pagine per scardinare i pregiudizi. con se stesso e i propri limiti, fisici e psichici, che possono essere i più diversi. Il disagio nello svelarsi di fronte a un'altra persona e il timore di non venire accettato è, a vari livelli, un vissuto condiviso da molte persone non necessariamente disabili. Vi auguro una buona lettura delle prossime pagine che abbiamo organizzato prendendo in considerazione tre “casistiche” diverse. Inoltre, tengo a precisare che in questo Speciale ci riferiamo solo alle persone con disabilità fisica e motoria in particolare e che comprendiamo ogni orientamento sessuale e identità di genere, sapendo che l'omosessualità è a sua volta fonte di discriminazione e che una donna omosessuale e disabile è vittima di una tripla discriminazione.
CASO N.1/ QUELLI CHE DESIDERANO UNA RELAZIONE E INCONTRANO PREGIUDIZI
Ci sono persone con disabilità che non hanno un partner ma lo vorrebbero e, dall'altro lato, persone non disabili che provano imbarazzo nell'approcciare eroticamente una persona con disabilità che pur desidererebbero. Sottostante a entrambe le situazioni ci sono pregiudizi, stereotipi, sentimenti di vergogna e inadeguatezza, la paura di essere fraintesi e di ferire. Lo stereotipo è un'idea che si basa su finti presupposti, una credenza fissa imposta dalla società che nasconde un disagio sociale nell'immedesimarsi con l'oggetto dello stereotipo. La considerazione “l'uomo non deve chiedere mai”, ad esempio, nasconde il disagio sociale di fronte all'emotività maschile. Nei confronti delle persone disabili, uno stereotipo comune è quello di considerarle “asessuate come angeli”. In una società come la nostra, dove conta l'immagine, un corpo segnato da una disabilità, tanto più se questa è evidente, viene ritenuto inadatto a un rapporto intimo. L'unico modo per scardinare un pregiudizio è quello di fare i conti con la realtà, passando da una visione teorica a un'esperienza pratica. Nella quale, come in ogni relazione, può accadere di tutto. É ovvio che una mobilità ridotta comporti delle limitazioni nella performance, ma questo non ha a che fare con l'apparato genitale in sé, che è compromesso solo in casi specifici, come quello della lesione vertebrale della zona coccigea. Anche in quel caso, però, esistono tecniche di stimolazione puberale in grado di indurla
CASO N. 2/ QUELLI CHE DESIDERANO APPAGARE IL PROPRIO BISOGNO SESSUALE
I l bisogno sessuale è un bisogno primario che occupa il primo gradino della piramide dei bisogni ideata nel 1954 dallo psicologo statunitense Abraham Maslow, insieme a respiro, alimentazione, sonno e omeostasi, e anche chi non è innamorato né coinvolto in una relazione sentimentale può dunque sperimentarlo. La letteratura moderna in campo neurologico ha dimostrato che tutti i mammiferi hanno una vita sessuale e in quelli superiori, tra cui anche l'essere umano, si tratta appunto di una necessità paragonabile a quelle della sete e della fame. L'impulso si origina nella regione della corteccia cerebrale di più antica formazione, chiamata archipallio, che nei vertebrati superiori e nell’uomo corrisponde all’ippocampo. Come si risponde al bisogno sessuale di una persona che non lo può soddisfare all'interno di una relazione, posto che tale bisogno venga riconosciuto come primario o che lo sia per quella specifica persona? La risposta apre un tema complesso, spinoso, delicato. Le persone senza disabilità possono ricorrere all'autoerotismo o rivolgersi al mercato della prostituzione, sia esso legale oppure no. Per le persone con disabilità la differenza sta solo nella mobilità ridotta. Tale limite infatti può impedire la prima soluzione ma anche la seconda, quando per la logistica organizzativa sarebbe necessario coinvolgere altre persone e ciò non è praticabile. Non esistono studi statistici a riguardo; ipotesi non verificate assumono che coloro che sperimentano questo desiderio in modo importante lo reprimano, lo soddisfino con l'aiuto di un familiare, o cerchino una soluzione esterna. In quest'ultima casistica si inseriscono gli esempi del portale di dating di Massimiliano Ulivieri, Loveability.it, e l'assistente sessuale, una figura professionale specializzata in tema di sessualità e disabilità, rispetto cui ci sono posizioni controverse.
CASO N. 3/ QUELLI CHE SONO IN COPPIA
Posto che in una relazione l'ideale sia incontrare un partner che ci accetti per ciò che siamo e non ci faccia pesare i nostri limiti, nei casi di coppie in cui uno o entrambi i partner siano disabili è utile affinare la capacità di confrontarsi apertamente, superando le aspettative dettate da stereotipi e pregiudizi e rendendosi disponibili ad affrontare la realtà, cercando insieme soluzioni concrete. A volte infatti la disabilità comporta anche delle peculiarità che l'altro non si aspetta e rispetto cui il confronto aperto evita equivoci e disagi. Inoltre la disabilità fisica, l'unica che stiamo considerando in questo Speciale, implica alcune limitazioni motorie che, anche quando non coinvolgono l'apparato genitale, possono impedire la completa realizzazione dell'atto. Negli Stati Uniti esiste un vero e proprio mercato di oggetti e protesi che supportano l'atto sessuale. Un esempio è la poltrona che riproduce i movimenti pelvici, sostenendo i muscoli del gluteo che da soli non riescono a contrarsi. Sempre negli Stati Uniti sono distribuiti farmaci, non autorizzati in Italia, per il mantenimento dell'erezione. In Italia Gabriele Viti ha autopubblicato il testo da lui scritto, “Kama Sutra dei disabili”, dove suggerisce posizioni e ausili, rivolgendosi per lo più a coppie dove solo uno dei due ha una disabilità
IL LIBRO - BARBARA CHE SUPERA I PREGIUDIZI CON LA SCRITTURA
Intervista di Francesca Arcadu
Barbara Garlaschelli è una scrittrice e donna con disabilità. Nel suo libro “Non volevo morire vergine” racconta la propria iniziazione al sesso e all'amore tra uomini impacciati, generosi, a volte teneri, a volte crudeli.
Un tuffo, buio, poi più niente. E il risveglio con una vita diversa e un corpo perduto a causa di una lesione midollare. Inizia così, a 15 anni, il percorso di Barbara Garlaschelli verso una vita che va riscritta e una prospettiva – quella seduta – che va conquistata faticosamente. Nel suo ultimo libro “Non volevo morire vergine” (ed. Piemme, 2017), Garlaschelli si racconta con lucidità e profondità, scavando intorno alle emozioni e le consapevolezze di una vita complessa, ma anche con molta ironia, tipica di chi riesce a trovare la forza per capovolgere un destino che mette alla prova. Il motore che anima il capovolgimento è la consapevolezza di non voler morire vergine, intendendo la verginità non solo del corpo ma anche delle esperienze, dei piaceri della vita, i viaggi, le conoscenze, i successi e i fallimenti. Sulla base di questo profondo desiderio la protagonista sarà capace di riscrivere la sua prospettiva e riconquistare il suo corpo, le consapevolezze sessuali, il piacere, il suo essere donna. Oggi Garlaschelli è una scrittrice e blogger con all’attivo numerosi romanzi e racconti, vincitrice di premi letterari e impegnata in diversi progetti. Le abbiamo rivolto alcune domande, trovandoci di fronte a una donna brillante e piena di energia.
Nel suo libro racconta una realtà fatta di un prima e un dopo, lo spartiacque è il “corpo negato” che ha dovuto riscrivere la sua identità con una prospettiva differente. Quali sono stati gli ostacoli più grandi?
Combattere i limiti che avevo posto a me stessa, più inflessibili e insormontabili di quelli che, oggettivamente, la mia nuova condizione di disabile mi poneva. La riconquista di me stessa come femmina è stata una strada lunga e irta di ostacoli che io stessa mi creavo. Certo, vivere in un paese come l'Italia in cui le barriere culturali e architettoniche sono ancora molte, non ha aiutato.
Come è cambiata la sua consapevolezza di donna con disabilità rispetto alla sessualità, nel passaggio da ragazzina adolescente, che si ritrova all'improvviso su una sedia a rotelle, a donna adulta con un compagno?
Si è spalancato un universo di possibilità, desideri condivisi, di vita. Ma il passaggio, ripeto, è stato più un percorso di consapevolezza, di incontri, di sbagli e di vittorie che mi hanno portata, alla fine, a essere la donna che sono.
Qual è il linguaggio migliore per abbattere i tabù legati alla sessualità delle persone con disabilità?
L'ironia e la dissacrazione sono fondamentali per abbattere qualunque tabù. In “Non volevo morire vergine” ho affrontato questi temi – sessualità, disabilità, relazioni – e l'ho fatto sia con un registro serio, sia con quello ironico.
LA CONTROVERSA FIGURA DELL'ASSISTENTE SESSUALE
Per il 2017 la Fondazione Sosteniamoli Subito di ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori e Mutilati Invalidi del Lavoro) annuncia una campagna per chiedere l'approvazione di una legge sull'assistenza sessuale. Al momento in Parlamento risultano depositati tre disegni di legge, di cui uno nato dalla spinta di Massimiliano Ulivieri. L'assistente sessuale è un operatore con formazione specifica che si rende disponibile a incontrare la persona con disabilità che lo desideri per un'esperienza di intimità e contatto fisico. Vivace il dibattito sulla sua opportunità, riportiamo qui un confronto tratto dai documenti del Gruppo donne UILDM.
Massimiliano Ulivieri (Loveability.it) Francesca Penno (ex componente Gruppo donne UILDM) |
Valentina Boscolo e Simona Lancioni (Gruppo donne UILDM) |
L'assistente sessuale è un operatore che si occupa di situazioni in cui la persona con disabilità non ha avuto occasioni per esprimere la propria sessualità sia a livello relazionale che con se stessa, con il proprio corpo.
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La figura dell'assistente sessuale non è necessaria. Se una persona disabile desidera cure olistiche può rivolgersi ad associazioni che promuovono corsi di massaggi, relax e training autogeno pressoché gratuiti.
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Questa professione non è concepita per rientrare tra i servizi di welfare. Una figura abilitata, certificata e quindi competente, avrà però costi di seduta conosciuti e autorizzati.
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Se una persona con disabilità desidera un partner per fare sesso, e non lo trova, può liberamente cercarne uno a pagamento, a proprie spese, senza pretendere alcunché dallo Stato.
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L'assistente sessuale ha dei limiti nell'interazione fisica, non affronta il rapporto sessuale completo né pratiche a rischio. Il titolo si ottiene al termine di un corso di quasi seicento ore tenuto da sessuologi, psicologi e medici.
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Poiché in Italia offrire e ricorrere a prestazioni sessuali a pagamento non è un reato ed esistono servizi di consulenza sessuale con psicologi e sessuologi, non sono significativi gli elementi di novità del servizio di assistenza sessuale.
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Il servizio è pensato per tutti. Lo richiederebbero più uomini? Probabile. In molte donne l'esigenza di sfogo sessuale a lungo sopita si anestetizza, e vale anche per donne non disabili; inoltre per una donna l'interazione sessuale assume spesso una sfera più intima e relazionale, affettiva.
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L’impressione che ricaviamo dai nostri riscontri è che in realtà questo servizio – pur essendo formalmente rivolto anche alle donne disabili – sia stato progettato considerando solo un modello di sessualità maschile, e che le donne con disabilità fatichino a riconoscersi in esso.
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Ci sono persone con disabilità che vivono le relazioni e la sessualità in modo soddisfacente sia per sé che per gli altri. Il servizio non è per loro ma per chi la sessualità e le relazioni non le vive affatto o con estrema difficoltà, per molteplici ragioni. Se una persona disabile vuole scegliere una figura preparata a relazionarsi con il suo tipo di persona, deve avere questa possibilità.
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La proposta di un servizio costruito ad hoc per le persone con disabilità sembra riproporre in ambito sessuale lo stesso approccio a cui si ispirano le scuole speciali, potendo sembrare una rinuncia all’inclusione. Le persone con disabilità dovrebbero lottare per venire considerate in tutto “persone”, e non “persone diverse”, neanche quando questo va a loro vantaggio.
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E poi ci sono quelli che, non essendo disabili, provano piacere nell'intimità sessuale con una persona con una disabilità fisica. Si tratta perlopiù di uomini alla ricerca di donne con amputazioni o sedute su una carrozzina. Si chiamano devotee e la loro preferenza sessuale è considerata patologica. Il fenomeno è poco conosciuto in Italia, mentre è sviluppato negli Stati Uniti.
PENSIERI SEGRETI: LE CONFIDENZE AL SESSUOLOGO
«Sono un ragazzo disabile. C'è una donna che dice di desiderarmi ma non so se è sincera. Non capisco se è attratta da me oppure se è mossa da un sentimento di pietà.» |
«Mi sono arresa definitivamente. Sono depressa, un partner non lo cerco nemmeno più perché gli uomini vedono la mia disabilità prima di me e non prendono nemmeno in considerazione la possibilità di instaurare una relazione affettiva.» |
«Mi sono innamorato di una ragazza in carrozzina, ma non so come avvicinarmi senza offenderla. Se poi si innamora anche lei, non so che richieste sessuali potrò farle. Non voglio metterla in imbarazzo.» |
«Sono amico di una ragazza disabile. Mi piace parlare con lei e trascorrere del tempo insieme. Ma non sono mai del tutto spontaneo perché temo che fraintenda. Siccome la aiuto negli spostamenti e nel mangiare, non vorrei che lei pensasse che sto cercando dell'altro mentre non è così.» |
«Mi sono innamorata del mio assistente personale. Quando mi aiuta lo fa in modo amoroso. Ma so che un partner dovrebbe avere altre funzioni oltre a quelle dell'assistenza. Come faccio a capire se è interessato a me o sta solo lavorando?» |
«Se sono in carrozzina posso avere un fidanzato?» |
«Ho 19 anni e vivo con mio padre che si prende cura di me. Sono disabile e non sono mai stato con una ragazza, l'unico modo che mi immagino è parlarne con mio padre ma non ho mai avuto il coraggio di affrontare con lui argomenti relativi alla sessualità.» |
«Sono disabile, non ho una vita sessuale attiva e vorrei averla. Non riesco ad accettare il fatto di non avere le stesse possibilità di chi non è disabile. Esisterà un uomo che si sentirà attratto dal mio corpo? Che alternative mi resterebbero?» |
«Il mio precedente assistente personale ha organizzato insieme a me l'appuntamento con una prostituta. Ora però non so come fare per le prossime volte, dato che lui non lavora più per me e non trovo nessun altro con cui affrontare questo argomento apertamente.» |
«Sono la madre di un ragazzo con disabilità grave. Una volta al mese lo accompagno a casa di una escort, e intanto vado a fare le spese. Ma non lo confido a nessuno, ho paura dei giudizi altrui.» |
«Durante l'atto sessuale con il mio partner che non è disabile, io che ho una mobilità residua molto limitata posso solo “ricevere” i suoi movimenti e questo a volte mi fa sentire fragile ed esposta. Una sensazione che mi spaventa e affascina insieme.» |
«Non ho il pieno controllo della vescica e nell'erezione a volte ho delle perdite di urina. Me ne vergogno e faccio finta di nulla, sperando che la mia partner non se ne accorga.» |
«Non abbiamo il coraggio di chiedere ai nostri assistenti di aiutarci a iniziare l'atto sessuale, e così ci limitiamo a baci, carezze e petting.» |