Servizio Civile: con UILDM non si può essere timidi

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Laureata in Tecniche di neurofisiopatologia, conoscevo i criteri diagnostici di una patologia neuromuscolare e ne avrei saputo elencare clinica e possibili decorsi. Ma non sapevo che impatto quotidiano una disabilità motoria importante avesse sulla persona interessata, la sua famiglia e l'ambiente in cui vive. È stato questo a spingermi a presentare la mia candidatura per il servizio civile a UILDM. Poi, alla vigilia del mio nuovo incarico, tanti dubbi affollavano la mia mente. Sarò all'altezza della possibilità che mi è stata data? Riuscirò a guardare oltre la carrozzina o i miei buoni propositi saranno sopraffatti da sentimenti di pena e compassione? Oggi, dopo un anno, non ho la presunzione di avere la risposta assoluta ma posso raccontare come è andata e condividere le risposte che, in parte, sono riuscita a darmi.

Se sono stata completamente all'altezza non lo so ma tutto sommato penso di essermela cavata, anche grazie a chi ha condiviso con me quest’esperienza. L’obiettivo del progetto a cui ho partecipato era favorire l’autonomia di ragazzi con patologie neuromuscolari, aiutandoli a sviluppare e valorizzare le loro potenzialità e a superare i limiti, fisici e non, imposti dalla disabilità. Ci siamo riusciti in qualche caso e abbiamo fallito in altri ma ci abbiamo provato e ce l’abbiamo messa tutta! Tuttavia, per me, la vera forza di quest’esperienza non sta nella gratificazione di essere stata di supporto a chi ne aveva bisogno ma nel fatto che, aiutando qualcun altro a superare un proprio limite, sono andata anche io oltre ai miei.

Chi mi conosce bene ancora stenta a crederci: io, che facevo fatica anche a cambiare il pannolino ai miei nipoti, ho accettato di accompagnare Chiara in bagno. Io, che non riesco a essere invadente nemmeno con le mie sorelle, con questo “compito” mi sono ritrovata a invadere uno spazio molto più che personale, uno spazio intimo. Se oggi qualcuno che si accinge a vivere la mia stessa esperienza mi chiedesse consiglio su come approcciarsi ai ragazzi, risponderei che non esiste un modo giusto. Con ognuno l’avvicinamento è stato diverso e, in modo inaspettato, con ciascuno è avvenuto spontaneamente. In genere ci metto un po’ ad aprirmi e a rompere il ghiaccio. Invece con Andrea ho legato subito, come se lo avessi conosciuto da sempre e la carrozzina non è mai esistita. Con Chiara è stato tutto più lento, prima di conoscerci davvero ci siamo scrutate per un po’, ho dovuto prendere confidenza con le sue due ruote e la balbuzie prima di dimenticarmene completamente.

E che dire di Simone? Un ragazzo ipovedente che mi ha costantemente messo alla prova. Con lui ho imparato a non dare nulla per scontato perché se è vero che è fondamentale guardare oltre la disabilità, è anche vero che non si può fingere che essa non ci sia e non condizioni in qualche modo tutto il resto. Quante ore seduti gomito a gomito, cercando di trovare il modo giusto per fargli capire come fare quella o l’altra cosa, provando a conquistare la sua fiducia. Quante volte ha saputo farmi sentire inadeguata un attimo prima e indispensabile un attimo dopo. Mi ha rimproverato quando non gli ho indicato uno scalino dando per scontato che, avendo attraversato quella strada più volte, ne ricordasse la presenza. L’ho rimproverato io quando ha pensato che la sua disabilità fosse una valida giustificazione al suo carattere testardo e, a tratti, presuntuoso. L’ho rimproverato e spronato quando nemmeno ci ha provato per paura di sbagliare, giustificandosi con un «eh no, qui non ce la faccio! Mi chiedi troppo!». Ci siamo scontrati, parlati, venuti incontro: siamo cresciuti insieme in questo percorso.

Vorrei, inoltre, dedicare due righe a chi mi ha accompagnato in questo cammino, rendendo tutto più semplice: le altre volontarie del servizio civile, Alessandro e Federico. Sara Gionfriddo, il mio opposto. Eppure la nostra diversità non le ha impedito di capirmi. Dopo solo qualche mese sapeva quando avevo bisogno di parlare e quando non era il caso, rispettando i miei silenzi. Lì dove c’è stata una debolezza lei è stata pronta a coglierla. Giada, la burbera dal cuore d’oro, la voce razionale del gruppo. Lei che di ogni situazione guardava tutte le sfaccettature; le analizzava facendo ipotesi su ipotesi. Lei che ha sfondato il muro della mia riservatezza giorno dopo giorno, che mi ha dato consigli come se mi conoscesse da sempre, che mi ha incoraggiata quando pensavo d’aver fallito. La disarmante Sara Giola, di un’intelligenza più unica che rara, qualità seconda solo alla sua spontaneità e alla sua genuinità. Tutto ciò che fa, dice, è, è frutto di una personalità particolare, eclettica, ma senza pretese o ostentazione. Federico e le sue immancabili battute, il suo caffè, la pausa sigaretta, le sue pernacchie. La sua compagnia è stata preziosa! Alessandro, il nostro “Virgilio”. Un punto di riferimento fondamentale, un esempio di imparzialità e correttezza, la cui presenza ci ha permesso di vivere serenamente questo percorso, anche quando le difficoltà non sono mancate.

Un grazie speciale a Enzo Marcheschi che ha tracciato la linea da seguire durante il nostro cammino; un supervisore discreto ma sempre presente, i cui consigli sono risultati fondamentali. I ragazzi, i cartelloni, le carrozzine, il deambulatore, le mie colleghe, la formazione, le pesche di beneficenza, la raccolta fondi per Telethon, le cene a Peccioli, le serate tutti insieme. Il mio servizio civile è stato questo e tanto altro, che custodirò gelosamente nel mio cuore. È impossibile raccontare tutto; non vorrei correre il rischio di banalizzare e, per questo, posso solo concludere dicendo che è un’esperienza che va vissuta per comprenderne il significato e l’importanza.

Ritratto di admin

Margaret

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