Questa è la storia di Davide Costanzo, un ricercatore in sedia a rotelle che ha sfidato le difficoltà oggettive per inseguire il suo obiettivo.
Da piccolo sognava di diventare uno scienziato e grazie all’impegno, alle sue capacità e a un’immensa forza di volontà, sta realizzando questo desiderio. È socio della UILDM di Verona e sta svolgendo il Dottorato di ricerca in Informatica nel laboratorio di robotica avanzata dell’Università degli Studi di Verona. Lo scorso anno ha vinto uno dei più prestigiosi riconoscimenti a livello europeo.
Da dove nasce la tua passione?
«Da piccolo ero un bambino curioso che sognava di fare lo scienziato. Ora con il dottorato in informatica sto facendo ricerca all'università, quindi direi che sono sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo.
A 6 anni ho ricevuto il mio primo computer, poi al liceo un professore eccezionale mi ha fatto appassionare alla fisica e mi ha aperto la porta alla comprensione dei meccanismi che muovono il mondo. Ho coniugato entrambe le passioni con lo studio della robotica: ciò che mi spinge è la volontà di capire il funzionamento di sistemi complessi. La mia speranza è quella di sviluppare tecnologie che possano aiutare a migliorare la qualità della vita di persone che, come me, hanno disabilità fisiche».
Di cosa ti stai occupando in questo momento?
«Attualmente sono al terzo anno del Dottorato di ricerca in Informatica dell’Università degli Studi di Verona. Faccio parte del laboratorio di robotica avanzata ALTAIR del Dipartimento, sotto la supervisione del prof. Paolo Fiorini. Il focus del laboratorio è la robotica chirurgica, mentre io mi occupo di tecnologie per l’assistenza, in particolare di esoscheletri. Si tratta di robot che vanno indossati e assistono chi li porta nell'esecuzione di movimenti; i più noti sono gli esoscheletri per arti inferiori che permettono a persone paralizzate di camminare e fare riabilitazione. Il progetto della mia tesi si occupa di dispositivi per il braccio e ha lo scopo di crearne uno controllato tramite segnali mioelettrici (deboli segnali elettrici generati dai muscoli quando vengono contratti volontariamente) e possono essere letti in modo non invasivo applicando degli elettrodi sulla pelle. L'obiettivo è usare questi segnali per fare in modo che l'esoscheletro risulti una naturale estensione del corpo. La sfida sta nello sfruttare questi segnali che, seppur ancora presenti in persone che soffrono di miopatie, sono molto deboli e di difficile interpretazione».
Quali sono state le difficoltà incontrate?
«Innanzitutto la necessità di un operatore per poter frequentare le lezioni, dare gli esami, insomma vivere l'università. Questo non è scontato perché l'assistenza fornita dall'ULSS termina con la scuola dell'obbligo e quindi si devono trovare altre strade. Ho assunto un ragazzo per assistermi in queste attività e parte del costo è coperto dal progetto di Vita indipendente. Con il dottorato le difficoltà sono aumentate: non solo perché è un'attività più complicata, ma anche per gli ostacoli dovuti alla mia condizione. Un esempio: il fatto che il regolamento del dottorato non preveda esplicitamente agevolazioni per chi, nonostante le difficoltà oggettive dovute alla malattia, si trovi ad affrontare il più alto livello dell'istruzione universitaria. Non è contemplato che una persona con disabilità possa superare l’accurata selezione per merito, tra i numerosi candidati. Manca (mancava perché ho ottenuto che venisse prevista) la voce dedicata al pagamento della tassa di iscrizione. Non è prevista la possibilità di estendere la durata del corso, in modo da garantire tempo per portare a termine il progetto di ricerca anche a chi, come me, ha difficoltà a scrivere al pc, non può dedicarsi a tempo pieno alle attività per motivi di salute e non può fare tutti i trasferimenti che l'attività comporta. E aggiungo che sebbene io non possa viaggiare da solo, il rimborso spese è previsto soltanto per me, non per il mio accompagnatore, rendendo di fatto molto difficili queste trasferte. Ho dovuto lottare perché mi venissero riconosciuti questi diritti: fortunatamente ho ottenuto qualcosa, ma devo ancora combattere molto».
Il tuo percorso universitario?
«Nel 2010, dopo il diploma al liceo scientifico Galileo Galilei di Verona con 100/100, mi sono iscritto alla laurea triennale in Informatica all'Università di Verona. Il corso ha un'impronta più teorica rispetto all'ingegneria informatica e pone delle ampie basi anche in materie collegate, quali matematica, logica e fisica. Mi sono laureato il 15 luglio del 2013 con 110 e lode. La mia era una tesi abbastanza particolare nell'ambito della progettazione e della descrizione di componenti hardware, chip per intenderci, interessante ma con applicazioni di nicchia. Subito dopo ho iniziato la magistrale in Ingegneria e Scienze Informatiche, un po’ più tecnica e specifica della triennale, con l'indirizzo in Sistemi Embedded, ossia sistemi con software e componenti hardware dedicati che troviamo negli smartphone e nei vari dispositivi elettronici che usiamo quotidianamente. In quel periodo sono entrato in contatto con la robotica e ho capito che volevo lavorare in quell'ambito, per cui ho chiesto di fare una tesi dal titolo "Analysis of a Single Actuator Exoskeleton" (Analisi di un esoscheletro a singolo attuatore), ossia un esoscheletro per l'assistenza della camminata in grado di muovere entrambe le anche con l'uso di un solo motore che segue un movimento alternato. Grazie a questa tesi, il 21 ottobre del 2015, mi sono laureato con 110 e lode e una menzione speciale per il punteggio più alto mai assegnato dal dipartimento di Informatica, una bella soddisfazione! Nel settembre dello stesso anno sono stato ammesso al corso di Dottorato in Informatica a Verona».
Hai ricevuto anche un altro riconoscimento significativo…
«Lo scorso anno ho vinto una borsa di studio da parte di Google dedicata a studenti disabili in ambito informatico/tecnico, la Google Europe Scholarship for Students with Disabilities 2017. Si tratta di un concorso che seleziona i 10 migliori studenti europei che rispondono a determinate caratteristiche. Una grande soddisfazione e un onore perché si tratta di un riconoscimento a livello internazionale».
Come si svolge la tua giornata tipo?
«Dal lunedì al venerdì alle 9.30 sono già al lavoro all’università. Mi alzo due ore prima perché ho bisogno di assistenza per alzarmi, prepararmi e fare una seduta di statica. Per le 9 viene a prendermi a casa Leo, il mio assistente e con il mio furgone attrezzato andiamo in facoltà. Leo resta ad assistermi per tutto quello che devo fare: preparare la mia postazione, spostamenti vari, pranzare e anche per gli esperimenti "pratici" che servono alla mia ricerca. Un paio di volte alla settimana resto anche al pomeriggio: non riesco a rimanere tutti i giorni perché mi affatico e devo dedicare del tempo alla fisioterapia. La sera, dopo cena mi riposo guardando un po' di tv. Il weekend è dedicato allo svago, anche se per gli spostamenti sono sempre legato alla disponibilità dei miei genitori. Adoro le serate con gli amici e il cinema».
Il tuo rapporto con i colleghi e con gli studenti?
«Il rapporto con i colleghi è molto buono, la convivenza negli spazi del laboratorio è piacevole e ogni tanto ci si trova anche fuori dagli orari di lavoro, per aperitivi o cene in compagnia. Il cibo è una costante: al compleanno di uno di noi attendiamo con ansia il rito dei pasticcini e nel tardo pomeriggio del venerdì ormai è famoso l'aperitivo in laboratorio. Con gli studenti il rapporto è particolare, mi è capitato di fare l'esercitatore per il corso di Fisica 1, in pratica dovevo fare esercizi in classe in preparazione all'esame. Io non sono in grado di svolgerli alla lavagna per cui inizialmente preparavo delle slide per poi proiettarle e spiegarle, ma non era il metodo più efficiente e gli studenti si limitavano a copiare. Quindi ho cambiato tecnica: slide più corte con il testo degli esercizi, poi chiamavo i ragazzi alla lavagna per svolgerli. Ovviamente li guidavo nello svolgimento, ma in questo modo erano più coinvolti. Con una tavoletta per disegnare al pc potevo usare il proiettore come una lavagna e se volevo fare un disegno o una correzione era tutto più immediato. A parte questi accorgimenti tecnici, non ho notato un trattamento diverso nei miei confronti. L’insegnamento è un lavoro d’intelletto, l’aspetto fisico rimane secondario».
Sogni e progetti futuri?
«Il mio obiettivo è completare con successo il mio progetto di ricerca e tradurlo in un reale dispositivo per l'assistenza, in modo influire positivamente sulla vita di tutti i giorni di persone con disabilità. Mi sono stati dati i mezzi e la possibilità di sviluppare dispositivi in grado un giorno non molto lontano di fare questo. Penso che la tecnologia possa e debba sempre aiutare a migliorare la qualità della vita delle persone e la loro inclusione sociale, io spero e voglio che i miei studi mi permettano di fare la differenza!».
(v.b.)