Dall'Argentina all'Italia: La Rivoluzione di Adriana

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Adriana Grotto ha 54 anni, presidente di UILDM Arezzo, è nata e cresciuta a Buenos Aires, Argentina. Ha vissuto la sua infanzia tra le dittature militari e civili e le prime difficoltà provocate dalla distrofia dei cingoli, che ha cominciato a manifestarsi nella preadolescenza. Estroversa e ottimista, cerca di trasformare positivamente anche le situazioni più complesse, trovando sempre la scorciatoia per stare bene.
Dal 1991 è in Italia, dove ha dato vita a un’attività di volontariato e di sensibilizzazione per difendere i diritti delle persone con disabilità.

 

Quando sei arrivata in Italia? Cosa significa cambiare paese e ripartire da zero?

Sono arrivata in Italia nel 1991. I miei genitori erano immigrati in Argentina, ma sia io che i miei fratelli siamo cresciuti là con la consapevolezza di vivere in un paese che non era il nostro. Per questo motivo la decisione di tornare in Italia: queste erano le mie origini. Inoltre, avendo la distrofia muscolare dei cingoli, avrei avuto condizioni di vita migliori qui. Iniziare da zero ripartendo con un nuovo lavoro e una nuova vita è molto difficile per chiunque. Ovviamente per me è stato un po’ più complicato.

Sei una donna realizzata, modello per tante altre. Come si arriva ad accettare una malattia neuromuscolare?

Non so se si accetta mai totalmente, ma non ha importanza. Quello che importa è non perdere tempo piangendosi addosso mentre la vita passa. Convivo con la distrofia muscolare da quando avevo otto anni, la diagnosi è arrivata ai dieci. Ho dovuto imparare ad accettare il progredire della malattia affrontando diversi ostacoli culturali. A scuola i ragazzi erano particolarmente cattivi con me e la gente non capiva che questa debolezza muscolare non era una finzione. Nessuno conosceva questa malattia, quindi ho dovuto iniziare un percorso di sensibilizzazione per far scoprire agli altri questa realtà. Ho cercato di far aprire gli occhi sulle capacità che comunque ci sono, nonostante la disabilità. Ora siamo abituati a questi concetti ma quarant'anni fa in Argentina è stata una rivoluzione.

Cosa significa per te Vita Indipendente?

Vivere come chiunque altro. Tutti hanno delle difficoltà, noi abbiamo delle caratteristiche che ci impongono di aver bisogno dell’aiuto degli altri. Questo però non ci toglie la possibilità di scegliere come vivere e, organizzandoci con l’assistenza, fare una vita in autonomia.

Come hai organizzato questo percorso? Quando hai cominciato?

Il mio percorso è iniziato quando avevo 13 anni: lavoravo nell'attività commerciale di mia madre, studiavo privatamente e facevo volontariato in un centro di riabilitazione per cominciare a capire quali erano le altre disabilità. Fino ai 20 anni ancora riuscivo a camminare un po', ma non avevo la possibilità economica di avere una carrozzina e in Argentina mancava il Servizio Sanitario Nazionale. Grazie all'aiuto di alcuni amici acquistai uno scooterino che mi regalò una totale autonomia. Da quel momento potevo muovermi senza il bisogno di avere sempre qualcuno che mi accompagnasse. Il secondo obiettivo fu trovare un lavoro che mi offrisse la possibilità di mantenermi e di avere una copertura sanitaria adeguata ai miei bisogni. Cominciai a lavorare nella Biblioteca del Parlamento e andai a vivere da sola. Qualche tempo dopo conobbi il mio primo marito con cui dopo un anno mi trasferii in Italia.

Com’è la tua giornata tipo?

Inizia alle 6 del mattino: ho bisogno di due ore per sistemarmi tra doccia, capelli e le diverse ritualità che deve seguire una persona con una malattia neuromuscolare che utilizza il respiratore. Una volta pronta vado al bar per un caffè al volo e poi via al lavoro. Tre volte alla settimana finisco alle 14, le restanti due alle 17.30. I pomeriggi liberi li utilizzo per le attività di UILDM, i rapporti con gli amici, fare la spesa, praticare buddismo e sistemare la casa con le mie due assistenti.

Sei presidente di UILDM Arezzo. Cosa rappresenta per te questo incarico?

Da due anni sono presidente della Sezione di Arezzo, un incarico a cui tengo particolarmente. Sono socia dal 1991, appena arrivata in Italia. Nella mia città c'è molto lavoro da fare: essendo una sezione di piccole dimensioni non sono mai stati fatti molti progetti per erogare servizi. In questo momento stiamo finalmente partendo con la fisioterapia domiciliare per dieci persone con distrofia e altre patologie neuromuscolari. Siamo anche in procinto di acquistare un pulmino accessibile in modo da poter realizzare gite e viaggi.

Da anni sei impegnata per costruire una cultura inclusiva, nel rispetto dei diritti di tutti. In cosa consiste questa battaglia? Quando si realizza la vera inclusione?

La lotta per l'integrazione sociale l'ho cominciata giovanissima. Inizialmente ho cercato di conoscere tutte le disabilità per capire quali erano i diversi ostacoli che ciascuno era costretto a vivere; successivamente mi sono impegnata per fare in modo che la società potesse comprenderli. In tutti questi anni ho visto tanti comportamenti sbagliati sia da parte di chi non è disabile sia da parte di chi lo è. Non possiamo pretendere di farci accettare se noi per primi non ci accettiamo. Questo vale per chiunque...

Raccontaci il tuo percorso lavorativo...

Ho svolto molti lavori: ho cominciato aiutando mia mamma nella sua attività commerciale. Poi per due anni ho gestito un negozio di articoli da regalo insieme a mio fratello. La situazione però diventava sempre più pesante fisicamente non avendo una carrozzina, quindi cominciai a fare vestiti dipinti che vedevo in un mercatino. Dopo l’arrivo dello scooterino trovai lavoro in Parlamento. Arrivata in Italia ripartii con un'attività commerciale insieme al mio ex mio marito e poco dopo arrivò un lavoro come impiegata nel comune di Arezzo.

Com’è il tuo rapporto con la femminilità?

Il mio rapporto con la femminilità è positivo. Sono sempre stata molto decisa su come vestirmi e su che stile indossare. Non ho mai seguito le mode e ho sempre cercato di esaltare i miei punti di forza e nascondere i difetti fisici, senza però esagerare. Nella mia vita mi sono innamorata e ho fatto innamorare. Ora sono felicemente single.

Nel 2015 hai pubblicato il libro Innamorate dell’amore. Come sono nate queste pagine?

Il libro di racconti Innamorate dell'amore è nato dall'ispirazione che mi hanno dato le vite di donne che hanno vissuto sentimenti acuti, profondi, piacevoli ma anche drammatici. Il titolo è nato dopo aver sentito la risposta di mia mamma quando qualcuno le chiese come poteva essersi innamorata di una persona come mio padre. Lei disse semplicemente “io ero innamorata dell'idea dell'amore”. Questa cosa mi colpisce ancora tanto perché vedo che molte di noi sono innamorate dell'amore.

(v.b.)

Ritratto di uildmcomunicazione

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