Il regista libero

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di Valentina Bazzani (l'intervista è pubblicata sul n. 199 di DM)

Classe 1991, Lorenzo Santoni è un giovane regista di Grosseto che ha trovato nel cinema la forma artistica per esprimersi, superando i limiti legati alla distrofia di Duchenne.

«Mi sento una persona libera nonostante tutto: libera di progettare film, eventi, articoli e soggetti. Sono un creativo e mi reputo fortunato ad aver trovato un mezzo di comunicazione che mi permette di realizzarmi professionalmente, al di là della Duchenne» ci spiega Lorenzo Santoni. Dopo la laurea in Scienze dei Beni Culturali - Musica, Cinema e Teatro all’Università di Siena col massimo dei voti e la laurea magistrale con la lode in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale all’Università Roma Tre, ha frequentato la scuola per filmakers Storiedicinema di Francesco Falaschi. Si definisce “un cinefilo a tutto tondo” ed è attivo sia dal punto di vista produttivo, come sceneggiatore e regista, sia divulgativo, come presidente e direttore artistico dell’Hexagon Film Festival. Tra i suoi lavori, “Una bellissima bugia” e “Tutti i nostri ieri” hanno ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra i quali la Menzione speciale della giuria al Fano International Film Festival, Best Romantic Comedy al Top Indie Awards 2018 e il premio Antenna d’Oro per il miglior cortometraggio assoluto e Miglior attrice (Barbara Giordano) al nono Kalat Nissa Film Festival. «Chi mi conosce mi definisce autoritario: penso che questa caratteristica sia il motore per realizzare le mie idee. Quanto mi trovo davanti a un ostacolo vado avanti a testa bassa e mi reputo freddo e calcolatore».

Cosa rappresenta per te il cinema?

È la mia vita. Non riesco a immaginarmi senza riprese e montaggi, senza soggetti e sceneggiature. Non posso stare lontano da questo mezzo di comunicazione, il più completo che esista. Penso che il cinema abbia cambiato gli uomini e il mondo e possa farlo ancora, soprattutto per la disabilità: con un film si può far capire cosa significa vivere con un handicap e modificare la percezione sull’argomento. Inoltre, un film può cambiare la valutazione delle proprie forze. È quello che è successo a me.

È accaduta con un film, quindi, la tua vera svolta?

Sì, guardando Avatar. Vedere che il protagonista di un kolossal di fantascienza usava la sedia a rotelle mi ha spinto a fare cinema. Con il corto “Una Bellissima Bugia” ho cercato di lanciare un messaggio a tutte le persone con disabilità, affinché non restino ad aspettare che gli altri facciano qualcosa per loro, ma attivino le proprie risorse. È chiaro, c’è sempre bisogno degli altri, ma dobbiamo avere forza di volontà e trovare uno scopo nella vita. Senza il cinema, per esempio, non credo che avrei superato tante cose.

Com’è stato il tuo percorso formativo?

Ho sempre voluto fare il liceo socio-psico-pedagogico perché il mio maestro di lettere delle elementari è stato un vero mentore. La scelta all’università è stata più sofferta: ero in dubbio tra Scienze Politiche, immaginando uno sbocco lavorativo più comodo e Scienze dei Beni Culturali, seguendo la mia passione e senza pensare all’impiego. Alla fine ha vinto il cuore e posso dire che è stata la decisione giusta.

Hai trovato ostacoli nella tua realizzazione?

Gli ostacoli sono stati tanti e di diversa natura: logistica e mentale. La prima, dettata dal fatto di abitare a Grosseto, dove non esiste un corso universitario sul cinema. Questo aspetto mi ha costretto a fare il pendolare a Siena per la triennale e a Roma per la magistrale. Inoltre ho avuto difficoltà a trovare un alloggio: prendere in affitto una casa vicino all’università era impensabile sia per i costi che per l’accessibilità, quindi ho cercato di limitare i viaggi ai soli appelli, studiando da casa. Quanto agli ostacoli mentali, da piccolo ho incontrato parecchi pregiudizi ma era un periodo diverso: il 1997 per la disabilità era il medioevo. I genitori dei miei compagni di classe non mi volevano con i loro figli -avevano paura che fossi contagioso o non so che cosa-, o forse pensavano che li avrei rallentati nel programma.

Come nascono i tuoi cortometraggi?

Il processo creativo non è facile da spiegare anche perché cambia a seconda del progetto. Per “Una Bellissima Bugia” sono partito dalla mia malattia e dalle paure e dalle speranze legate ad essa, mentre per “Tutti i Nostri Ieri” il soggetto si è sviluppato dall’immagine di un uomo che brinda a un anniversario da solo. Non saprei dire come mai ho avuto questa “visione”.

Come sviluppi il lavoro?

Tutto parte dalla scrittura del soggetto. Poi, se piace a un produttore e ci sono fondi sufficienti, scrivo la sceneggiatura. Per le riprese, dopo che abbiamo eseguito i sopralluoghi e le riunioni organizzative, sul set mi piazzo nell’angolo in cui c’è il monitor su un tavolo collegato alla macchina da presa. Dalla mia postazione dirigo gli attori, le comparse, gli operatori e il resto della troupe.

Qual è stato il momento più significativo nella tua carriera?

Ce ne sono tanti di bivi che ho incontrato, a cominciare dal primo video che ho fatto quasi per scherzo con il mio amico Dario. Credo che il momento più importante ,che ha reso la mia passione un mestiere, sia stato quando un mio lavoro ha attirato l’attenzione di un produttore di Roma, che mi ha seguito nella realizzazione del primo corto professionale “Una Bellissima Bugia” assieme a Francesco Falaschi, il mio maestro di cinema. Con quel progetto sono riuscito a entrare in questo mondo, conoscendo attori e tecnici di livello assoluto.

E la soddisfazione più importante?

Spero che debba ancora arrivare! Scherzi a parte, le due soddisfazioni più grandi sono stati i premi che ho ricevuto per i miei lavori, soprattutto il premio del miglior corto al Festival di Fano 2016 e la più recente Antenna d’Oro del Kalat Nissa Film Festival. E poi essere stato ospite del TG Regione Toscana su RAI 3 è stato davvero emozionante.

Qual è il tuo sogno più grande?

Oltre a sconfiggere la Duchenne, realizzare un lungometraggio da distribuire nelle sale. Avrei già pronti diversi soggetti che sono ritenuti interessanti dai miei amici attori e registi, ma non ho ancora trovato un produttore che intenda concretizzarlo. Aspetto fiducioso, anche se il tempo non gioca mai in mio favore. Ma io non mollo!

Cosa ti senti di dire a chi non riesce ad accettare la disabilità?

Non avere paura del nostro corpo e non permettere alla malattia di distruggere le nostre passioni e i nostri sogni. È vero, dobbiamo fare i conti con grandi ostacoli, ma non dobbiamo fermarci a quello che non possiamo fare. Le possibilità che abbiamo sono molte più di quante si possa pensare. Non dobbiamo considerarci dis-abili ma bis-abili, capaci due volte: la prima di sconfiggere i nostri i nostri limiti, la seconda di fare ciò che sembra straordinario per chiunque.

 

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