L'approfondimento, pubblicato su DM 196, è a cura di Fabrizio Rao e Giancarlo Garuti della Commissione medico scientifica UILDM.
Umidificazione delle vie aeree in ventilazione meccanica
Ventilazione diurna con boccaglio
Valutazione respiratoria nel paziente neuromuscolare
Criticità nel passaggio dall'età pediatrica ad adulta nella presa in carico respiratoria
Umidificazione delle vie aeree in ventilazione meccanica
Fabrizio Rao Responsabile Area Respiratoria Centro NeMO Milano Direttore clinico Centro NeMO Arenzano (Ge)
Valentina Castino Terapista respiratorio, Centro NeMO Arenzano (GE)
Le vie aeree superiori sono fisiologicamente responsabili di circa il 75% dell’umidificazione e del riscaldamento dell’aria inspirata. In condizioni fisiologiche, l’aria che raggiunge gli alveoli, dopo essere passata attraverso le vie aeree superiori e inferiori, vi arriva alla temperatura di circa 37 gradi, quindi riscaldata e correttamente umidificata. Durante la ventilazione meccanica, a causa degli elevati flussi e pressioni erogate, è necessario umidificare le vie aeree per aumentare la tolleranza, evitare di seccare le mucose e le secrezioni. Se si utilizza la ventilazione non invasiva (maschera nasale o oronasale), l’umidificazione deve essere necessariamente garantita durante la notte.
In ventilazione invasiva, tramite tracheostomia o tubo endotracheale, l’umidificazione deve essere garantita anche durante il giorno, per tutte le 24 ore, poiché le vie aeree superiori, normalmente deputate al riscaldamento e all’umidificazione dell’aria inspirata, vengono bypassate, con il rischio della formazione di tappi all’interno della cannula o del tubo endotracheale, infiammazioni tracheali e ulcerazioni della mucosa tracheobronchiale.
Esistono due sistemi di umidificazione: attivi e passivi. Tradizionalmente considerati il gold standard dell’umidificazione dei gas inspirati, sono gli umidificatori attivi a piastra. Questi dispositivi riscaldano e umidificano attivamente i gas tramite un sistema con piastra riscaldante: questa aumenta la temperatura dell’acqua sterile o demineralizzata contenuta in una camera di umidificazione, generando così vapore; l’aria diretta al paziente, attraversando la camera, si satura di vapore acqueo e si riscalda secondo la temperatura impostata.
Alla camera di umidificazione può essere collegato un circuito semplice oppure termoriscaldato. Quest’ultimo, mantenendo costante la temperatura all’interno del circuito tramite delle sonde di rilevazione del calore collegate a un termostato servo-controllato, evita la formazione di condensa all’interno del tubo. È inoltre possibile settare degli allarmi per garantire una maggiore sicurezza e prevenire un’eccessiva umidificazione. Il sistema di umidificazione passivo è costituito da filtri, chiamati HME (Heat Moisture Exchanger), che vanno interposti tra il ventilatore e il paziente.
Questi filtri hanno il compito di trattenere il calore e di far condensare l’umidità dell’aria espirata, restituendoli poi al paziente sotto forma di vapore riscaldato all’atto inspiratorio successivo. Gli HME sono monouso e sterili e si utilizzano normalmente in ventilazione invasiva qualche ora durante il giorno, in sostituzione del sistema attivo. In condizioni ottimali, la performance dei filtri umidificanti dipende da molte variabili come la portata del flusso inspiratorio ed espiratorio, la temperatura ambientale, la quantità di vapore acqueo nel flusso medio e la loro grandezza. Risulta importante, in ventilazione invasiva, non eccedere con le ore di utilizzo del sistema passivo perché gli umidificatori attivi a piastra, rispetto agli HME, sono più efficienti e performanti in termini di precisione nel fornire umidità e calore ai gas inspirati, riducendo conseguentemente il rischio di danni da insufficiente riscaldamento e umidificazione, responsabili spesso del fallimento o della scarsa tolleranza alla ventilazione a pressione positiva.
Ventilazione diurna con boccaglio
Giancarlo Garuti U.O.C. Pneumologia, Ospedale Santa Maria Bianca, Mirandola (MO)
La ventilazione non invasiva è una terapia efficace per diminuire il lavoro respiratorio, migliorare lo scambio di gas e alleviare la dispnea nell’insufficienza respiratoria acuta e cronica. Il suo fallimento è spesso associato alla scarsa tolleranza del metodo di somministrazione, che può essere causato da dolore, eccessiva pressione sulla pelle del viso, da perdite, ansia, secrezioni e asincronia tra il paziente e il ventilatore. L’interfaccia può avere un ruolo nella tolleranza e nell’efficacia. La maggior parte di questi inconvenienti può essere evitata con l’uso di ventilazione con boccaglio a circuito aperto (MPV).
L’uso di MPV è stato descritto per la prima volta in una conferenza sulle apparecchiature per assistenza respiratoria nei pazienti post-poliomielite nel 1953. JE Affeldt, del Rancho Los Amigos Hospital di Los Angeles, osservò che la pressione positiva intermittente con circuito con boccaglio poteva alleviare la dispnea in pazienti poliomielitici ventilatori dipendenti, la cui ventilazione a pressione negativa veniva interrotta per trasferimenti, assistenza infermieristica o terapia fisica. L’utilizzo routinario è stato introdotto nel 1980 nei pazienti dell’UO ventilatoria del Goldwater Memorial.
Ci sono a disposizione diversi boccagli, per migliorare il comfort e l’aderenza del paziente alla NIV. Il boccaglio standard permette di tenerlo in posizione con i denti e venire facilmente espulso. La MPV è stata segnalata per ridurre il rischio di infezione respiratoria, migliorare la tosse, la funzione vocale e la qualità della vita. Nonostante i potenziali benefici, non è ampiamente usata. Ciò può essere dovuto in parte al fatto che poche informazioni sono disponibili su quale ventilatori sono in grado di supportare l’applicazione e quali interfacce possono essere utilizzate.
VANTAGGI CHE PERMETTONO UNA MIGLIORE VITA SOCIALE AI PAZIENTI DIPENDENTI O SEMI-DIPENDENTI DAL VENTILATORE:
• minor impatto sul paziente;
• possibilità di parlare e mangiare;
• riduzione delle lesioni da decubito sulla cute del viso;
• pochissimo spazio morto e fruibile senza cinghie o cuffia (il paziente ha un minor senso di claustrofobia).
GLI SVANTAGGI:
• uso esclusivo diurno, anche se alcuni ne hanno imparato l’utilizzo durante il sonno;
• possibilità di suscitare riflesso del vomito e salivazione;
• l’aspirazione di vomito è una complicazione potenziale, ma finora il rischio è stato solo teorico;
• l’uso prolungato può causare deformità ortodontica;
• perdite d’aria dalla bocca (possono essere controllate con un’aderente guarnizione a labbro);
• perdita d’aria attraverso le narici (evitata con tappi o clip nasali);
• se l’aria è ingerita può provocare distensione gastrica.
LE CONTROINDICAZIONI SONO RARE E INCLUDONO:
• mancanza di coscienza;
• mancanza di cooperazione da parte del paziente;
• inabilità a mantenere la protesi ventilatoria;
• presenza di deficit bulbare severo.
Valutazione respiratoria nel paziente neuromuscolare
Paolo Banfi Riabilitazione Intensiva Pneumologica, IRCCS S. Maria Nascente Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano
L’ insufficienza respiratoria è un evento frequente nei pazienti con patologia neuromuscolare. Si verifica a causa della debolezza dei muscoli respiratori e determina da un lato una progressiva ipoventilazione alveolare, cioè l’incapacità del polmone di rimuovere completamente la CO2, e, dall’altro, l’impossibilità di proteggere le vie aeree con una tosse efficace. La maggior parte degli episodi d’insufficienza respiratoria avviene dopo l’instaurarsi d’infezioni alle alte vie aeree, cui seguono un accumulo di secrezioni, fatica respiratoria, ulteriore peggioramento della performance dei muscoli respiratori e infezioni polmonari che possono divenire fatali.
QUALI SONO I PROBLEMI PRINCIPALI NELLA PATOLOGIA NEUROMUSCOLARE?
• Tosse inefficace con conseguente impossibilità a una clearance adeguata delle secrezioni delle vie aeree.
• Incoordinazione delle alte vie respiratorie nelle patologie a interessamento bulbare.
• Alterazione della gabbia toracica (scoliosi).
• Ipoventilazione dapprima durante il sonno e successivamente in veglia.
• Infezioni polmonari ricorrenti che aumentano la debolezza muscolare. • Eventuale disfagia che peggiora il quadro infettivo.
• Rischio di malnutrizione.
Il paziente va osservato nella sua interezza: autonomia deambulatoria residua, valutazione del torace (eventuale scoliosi o cifoscoliosi, pectus excavatum e altro), uso dei muscoli accessori, frequenza respiratoria e modalità del respiro (sincrono, paradosso, asincrono), mantenimento del decubito supino. L’auscultazione spesso non ci viene in aiuto perché silente a causa della minima escursione toracica. Segue la valutazione strumentale per evidenziare quanto sopra evidenziato, l’efficacia di pompa ventilatoria, tosse e scambio gassoso, per evitare il fenomeno dell’ipoventilazione.
ECCO GLI ESAMI IN ORDINE DI ESECUZIONE:
1 Spirometria. Misura sia la capacità vitale forzata in supino e in posizione seduta, sia la capacità vitale lenta che il volume residuo (volume d’aria che rimane nei polmoni dopo una espirazione completa).
2 Massima pressione inspiratoria ed espiratoria. Rendono conto rispettivamente della adeguatezza della ventilazione e dell’efficacia della tosse.
3 Valutazione del picco di flusso durante la tosse. Deve esser sopra i 270 lmin perché sia efficace; valori sotto i 160 lmin sono indicativi di tosse inefficace ed espongono il paziente al rischio di infezioni respiratorie.
4 Emogasanalisi arteriosa nell’adulto o valutazione con transcutaneo per la misura della pco2 e della spo2 nel caso di lattanti o bambini: alcuni preferiscono valutare il sangue arterializzato con micropuntura del lobo auricolare.
5 Valutazione dei disturbi respiratori nel sonno mediante poligrafia dinamica notturna o con saturimetria notturna. Nel primo caso si evidenziano eventuali anomalie respiratorie nel sonno monitorando il flusso nasale con cannula nasale e con sensore a termocoppia, la saturazione dell’emoglobina, delle cinture toraco-addominali, un sensore di posizione, un ECG e un microfono per eventuali rumori respiratori. Si devono evidenziare soprattutto fenomeni come apnee o periodi di ipoventilazione soprattutto nel periodo REM, in cui la già nota debolezza muscolare si aggrava perché il diaframma diventa più ipotonico. Tutti gli esami vanno periodicamente ripetuti, in tempi che dipendono dalla patologia in studio.
Criticità nel passaggio dall'età pediatrica ad adulta nella presa in carico respiratoria
Alessandro Onofri e Renato Cutrera U.O.C. Broncopneumologia, Area semintensiva pediatrica Dipartimento pediatrico universitario ospedaliero Ospedale pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Il numero di pazienti con distrofia muscolare di Duchenne che raggiungono l’età adulta è in progressivo aumento: l'innalzamento dell’aspettativa di vita è stato senz’altro determinato da una migliore gestione della comorbidità respiratoria in età pediatrica. Tuttavia, la distrofia di Duchenne è una patologia la cui diagnosi si effettua in età pediatrica (la gestione della patologia è in mano a servizi pediatrici) ma le principali complicanze si verificano nel passaggio all’età adulta.
La gestione dell’adolescente con Duchenne presuppone una valutazione della funzionalità respiratoria e degli scambi respiratori notturni costante nel tempo e un eventuale inizio tempestivo, se necessario, di ventilazione meccanica non invasiva, per supportare il paziente durante la notte ed evitare l’insorgenza di complicanze legate all’insufficienza ventilatoria notturna. La presa in carico da parte di centri dell’adulto necessita di adeguate competenze in termini di disturbi respiratori del sonno, di ventilazione meccanica e di gestione multidisciplinare della patologia neuromuscolare. Tali pazienti necessitano inoltre di adeguata fisioterapia respiratoria, da proseguire con costanza con la crescita. È cruciale garantire continuità a tale aspetto: è durante l’adolescenza che la fisioterapia diventa ancor più importante nel mantenere una buona funzionalità respiratoria e nel ridurre le riacutizzazioni respiratorie.
La complessità del periodo della transizione, inoltre, è aumentata dall’impatto sociale ed economico della malattia su famiglie che, per anni, fronteggiano una patologia dal decorso lento e silente durante l’età pediatrica, le cui manifestazioni più gravi e invalidanti (principalmente inerenti allo scompenso cardiaco e all'insufficienza respiratoria) si manifestano proprio nel periodo dell’adolescenza. Un’efficace gestione dell'insufficienza respiratoria e dello scompenso cardiaco - la prima tramite l'introduzione della ventilazione meccanica, la seconda con la terapia medica per lo scompenso (nei casi meno gravi) - ha un notevole impatto sul prolungamento dell’aspettativa di vita di questi pazienti.
All’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, l’impianto del cuore di Jarvik, il “mini-cuore artificiale” che ha consentito la sopravvivenza di ragazzi che fino a pochi anni fa non raggiungevano l’età adulta a causa dello scompenso cardiaco, nei pazienti con distrofia di Duchenne e miocardiopatia dilatativa severa ha determinato la presenza di un’ulteriore categoria di pazienti: adolescenti con la patologia, spesso con insufficienza respiratoria cronica, necessità di supporto ventilatorio e cuore di Jarvik. La sfida del futuro è garantire anche a questi ragazzi con una gestione così complessa di accedere alle cure per adulti lungo un percorso privo di ostacoli.
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