La distrofia muscolare è indissolubilmente legata alla storia di Telethon: proprio per iniziativa della UILDM, infatti, è nata nel 1990 la prima maratona sulle reti RAI, sul modello di quella ideata negli Stati Uniti da Jerry Lewis nel 1966.
Oggi, dopo oltre vent’anni di maratone televisive e finanziamenti alla ricerca scientifica, il bilancio sui risultati raggiunti e su quelli futuri è più che positivo.
Con questa rapida nota, si vuole fare il punto sulla ricerca riguardante la distrofia di Duchenne (d’ora in poi DMD), che per molti aspetti costituisce la distrofia di riferimento: i risultati ottenuti rispetto ad essa, infatti, si potrebbero applicare in seguito anche ad altre patologie.
Dovuta all’assenza di una proteina chiamata distrofina, questa malattia genetica porta con il tempo alla degenerazione dei muscoli di gambe e braccia, quindi alla compromissione del cuore e in particolare dei muscoli del respiro.
Sin dalle sue origini, Telethon ha supportato l’attività di ricerca sulla DMD di vari ricercatori eccellenti italiani. Uno di questo è il professor Giulio Cossu, del San Raffaele di Milano i cui studi hanno consentito di identificare un particolare tipo di cellule staminali in grado di “colonizzare” il muscolo e di produrre nuove cellule muscolari, i mesoangioblasti.
Nel marzo del 2011 ha preso il via presso l’Istituto San Raffaele di Milano un progetto mai realizzato prima, uno studio cioè volto a sperimentare la terapia con mesoangioblasti su bambini con DMD. Coordinato da Giulio Cossu, il trial vede la partecipazione di un’équipe clinica guidata dal dottor Fabio Ciceri e prevede l’iniezione nel sangue dei pazienti di cellule staminali prelevate da un loro fratello sano.
La speranza è quella di replicare quanto osservato in animali distrofici: la colonizzazione dei muscoli scheletrici, con un buon ripristino di forza e capacità contrattile.
Lo studio prevede un’analisi dei dati dopo il trattamento dei primi tre pazienti (marzo 2012) e, se tutto procederà in maniera ottimale, si proseguirà con il trattamento di altri tre bambini.
Un’altra strategia terapeutica promettente è l’exon skipping, tecnica che sfrutta la capacità di piccole molecole di mascherare il difetto genetico responsabile della malattia, permettendo così la produzione di una distrofina più corta, ma ancora capace di funzionare. In tal modo si punta a trasformare la forma di Duchenne in quella molto meno grave di Becker, che garantirebbe un’aspettativa di vita normale e la possibilità di camminare anche in età adulta.
Nel mondo, sono diversi gli studi clinici che mirano a testare farmaci basati su questo principio, detti oligonucleotidi antisenso.
Al momento è attivo un trial clinico finanziato dall’industria farmaceutica Glaxo Smith Kline (GSK), che coinvolge vari centri clinici universitari italiani, presso il Policlinico di Milano, il Policlinico Gemelli di Roma, l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, il Policlinico di Messina e l’Università di Ferrara.
Inoltre, si è recentemente concluso quello finanziato dall’azienda farmaceutica olandese Prosensa, i cui risultati sono in corso di analisi: a coordinarne il braccio italiano è Alessandra Ferlini dell’Università di Ferrara che parallelamente studia, grazie a fondi Telethon, come migliorare il trasporto di farmaci antisenso, tramite “nanosfere” di materiale inerte, visibili solo al microscopio elettronico. Incoraggiati dai risultati in laboratorio, i ricercatori ferraresi proveranno a ottimizzare la somministrazione per bocca e non per via intravenosa come avviene negli studi in corso.
Anche Irene Bozzoni della Sapienza di Roma è alla ricerca del modo più efficace per veicolare gli oligonucleotidi antisenso alle cellule muscolari: la sua idea consiste nel fornire queste piccole molecole “impacchettate” all’interno di un virus innocuo, che permetta così di raggiungere meglio tutti gli organi interessati dalla malattia e a ridurre al minimo le somministrazioni. Il DNA terapeutico verrebbe in tal modo mantenuto nelle cellule del paziente per anni: la sperimentazione sull’uomo è prevista entro due anni, grazie alla collaborazione della ditta olandese Amt.
Sempre a Roma, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Elisabetta Mattei e Claudio Passananti stanno lavorando a un altro approccio terapeutico, che sfrutta la capacità di una proteina chiamata utrofina di fare le veci della distrofina, se presente in quantità adeguate.
I ricercatori Telethon stanno studiando in particolare come aumentare la quantità di utrofina nei muscoli distrofici, grazie a un gene sintetico, denominato Jazz, che nel modello animale si è dimostrato efficace e privo di effetti tossici: risultati incoraggianti in vista di un trasferimento all’uomo di questa tecnologia.
E ancora, Pierlorenzo Puri, ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco (DTI) presso la Fondazione Santa Lucia di Roma, sta lavorando alla definizione di una terapia farmacologica capace di stimolare particolari cellule staminali presenti nei muscoli, a produrre nuovo tessuto muscolare, contrastando la progressione della malattia.
All’Università di Milano, invece, Emilio Clementi sta provando a migliorare la performance dei muscoli distrofici tramite farmaci antinfiammatori che si sono dimostrati efficaci anche grazie alla loro capacità di rilasciare una particolare sostanza chimica, il nitrossido. Pur non curando la malattia, si potrebbe così rallentarne il decorso e aumentare la probabilità di successo di altri approcci.
All’Istituto Veneto di Medicina Molecolare di Padova, infine, anche Marco Sandri del DTI lavora per salvare i muscoli dalla degenerazione, sfruttando un approccio ancora diverso: modulare, grazie alla dieta o a particolari farmaci, il cosiddetto meccanismo dell’autofagia, che permette alle cellule muscolari di ripulirsi dalle sostanze tossiche che si accumulano, come avviene anche nel corso dell’invecchiamento o di altre malattie degenerative meno rare.
In ogni caso, qualunque sia l’approccio terapeutico, condizione essenziale per partecipare alla sperimentazione clinica è che i muscoli dei pazienti non siano del tutto compromessi dalla malattia e che i pazienti siano curati secondo i migliori standard di cura definiti in ambito internazionale, affinché le loro condizioni siano comparabili a quelle dei bambini inseriti presso altri centri partecipanti agli studi internazionali.
Anche di questi aspetti si sono occupati Enrico Bertini dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma ed Eugenio Mercuri del Policlinico Gemelli di Roma, nell’ambito del TREAT-NMD, rete europea per le malattie neuromuscolari, che ha definito strumenti accurati e specifici per costruire e condurre studi clinici che coinvolgano bambini con DMD.
Ricordiamo che su tutte le varie ricerche citate nel presente testo, all'interno di questa stessa Sezione Scienza e Medicina del nostro sito o tra le pagine della rivista «DM» sono presenti specifici approfondimenti.
Si ringrazia per le notizie fornite e per l’elaborazione del testo l’Ufficio Scientifico di Milano della Fondazione Telethon.
Testo redatto nel dicembre del 2011.
Per ulteriori dettagli o approfondimenti:
Coordinamento della Commissione Medico-Scientifica UILDM (referente: Crizia Narduzzo), c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.
Data dell’ultimo aggiornamento: 15 novembre 2014.