di Angelo Schenone*
La malattia di Charcot-Marie-Tooth (d’ora in poi CMT) è una neuropatia genetica che colpisce il sistema nervoso periferico, e dovuta all’alterazione di uno dei numerosi geni – alcuni dei quali non ancora noti – che determinano la formazione del nervo. Le neuropatie periferiche possono essere classificate, in base alla distribuzione del deficit, in mononeuropatie (un solo nervo interessato), multineuropatie (più di un nervo interessato in maniera asimmetrica) oppure polineuropatie (interessamento diffuso e simmetrico dei nervi). Queste ultime possono essere dovute a svariate cause, tra cui quelle genetiche (degenerative o metaboliche), tossiche, carenziali, infiammatorie/immunomediate, infettive, ecc.
La CMT è caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli, più spesso distali, che appaiono come “dimagriti”, e da ridotta sensibilità. I sintomi partono dai piedi e si diffondono progressivamente verso le gambe, parte delle cosce e le mani. Sono frequenti anche le malformazioni osteotendinee come i piedi cavi con dita a martello e, meno frequentemente, le mani en griffe. La malattia esordisce di solito prima dei 20, anche se sono noti casi ad esordio tardivo (III/IV decade), ed è progressiva, ossia peggiora con il tempo, potendo portare ad esiti completamente diversi tra loro: da insignificanti variazioni nelle capacità motorie, all’atrofia degli arti – che arrivano ad assumere una caratteristica forma assottigliata – con una serie di effetti correlati, da difficoltà di deambulazione, deformazioni dello scheletro, in particolare dei piedi che si presentano cavi e dolori muscolari, fino – in rari casi – alla necessità permanente della carrozzina. La frequenza – probabilmente sottostimata – è di un caso ogni 2.500 persone e l’esordio di solito prima dei 20 anni. La gravità è variabile non solo tra famiglie differenti, ma anche all’interno di una stessa famiglia: si riscontrano infatti casi lievissimi, in cui l’unica alterazione è il piede cavo e rari casi in cui la capacità di camminare è persa o molto ridotta. La progressione, per lo più, è molto lenta e vi possono essere lunghi periodi di stazionarietà.
Trasmissione e forme
Sono noti oltre 70 geni malattia, ma molti sono ancora da scoprire. La trasmissione avviene più spesso con modalità autosomica dominante (basta cioè ereditare una copia alterata del gene da uno dei genitori per manifestare la malattia), ma sono note anche alcune forme a trasmissione autosomica recessiva (i genitori sono portatori sani e ciascuno dei figli ha il 25% di probabilità di essere affetto) o legate al cromosoma X (le donne sono colpite in forma lieve e ciascuno dei loro figli maschi ha il 50% di probabilità di ereditare la malattia, che manifesterà però in forma più grave).
Di seguito sono i maggiori sottotipi:
- Tipo 1: sono le forme demielinizzanti, in cui la guaina che riveste le fibre nervose, detta mielina, si consuma lentamente, alterando la conduzione nervosa. Infatti, nell’elettroneurografia (ENG), la velocità di conduzione motoria (VCM) è inferiore a 38 metri/sec.
L’ereditarietà autosomica è dominante (nella maggioranza dei casi) o recessiva o legata al sesso. Tra queste forme, si riconoscono la CMT1A, che è la più frequente (circa 80% dei casi di CMT) e il cui difetto genetico è una duplicazione del gene che codifica per la Proteina Mielinica di 22 kD (PMP22), specifica della mielina periferica, sul cromosoma 17. Nella forma HNPP, neuropatia ereditaria con predisposizione alle paralisi da compressione dei nervi (che si manifesta di solito con “addormentamento” degli arti in certe posizioni), c’è nella maggioranza dei casi una delezione (assenza) dello stesso gene PMP22. - Tipo 2: sono le forme assonali, in cui viene compromesso il “core” del nervo, cioè l’assone. La VCM è uguale o maggiore a 38 metri/sec. Se ne distinguono anche qui diverse forme, in base al gene mutato.
- CMT legata al cromosoma X (X-linked). Nella forma CMTX, con una mutazione del gene della connessina 32, vi è ereditarietà legata al cromosoma X.
- CMT autosomiche recessive (ARCMT). Le forme di ARCMT, più rare delle precedenti, sono spesso ad esordio più precoce e più gravi. Di solito combinato segni di sofferenza dell’assone e della mielina e sono causate da mutazioni in innumerevoli geni.
Gli esordi
L’inizio della CMT avviene per lo più in maniera lenta e spesso i primi sintomi vengono riferiti a cause non neurologiche, guardando cioè in prevalenza all’indebolimento dei muscoli, che consegue alla degenerazione delle fibre nervose motorie. Solo in pochi casi la malattia colpisce abbastanza rapidamente la muscolatura dei piedi e delle gambe, per poi rimanere stazionaria per qualche decennio.
I primi sintomi sono: inciampo sull’avampiede o per piccoli gradini (più frequente a piedi nudi), distorsioni di caviglia, goffaggine nel camminare, crampi ai polpacci, facilità alle cadute a terra. Spesso il paziente migliora spontaneamente il cammino, utilizzando scarpe con il tacco e facendo rialzare dal calzolaio la parte laterale della suola, ove si consuma di più. Con il passare del tempo, l’indebolimento della flessione dorsale dei piedi si accentua e il paziente è costretto a sollevare le ginocchia più del normale, per evitare di inciampare con la punta dei piedi: questo cammino – che ricorda quello del cavallo – è detto deambulazione “steppante” o equina, ed è piuttosto stancante.
Raramente la malattia si diffonde ai muscoli delle cosce; quando questo avviene, di solito in fase molto avanzata di malattia salvo per alcune forme molto rare e di solito di ARCMT, il conseguente scarso controllo del ginocchio, il cedimento degli arti inferiori e le frequenti cadute, possono portare alla decisione di utilizzare la carrozzina. Per quanto riguarda le mani, l’inizio dei sintomi è più tardivo e spesso l’indebolimento è talmente lieve che non determina un deficit funzionale. I disturbi più frequentemente lamentati sono difficoltà ad abbottonarsi e a sbottonarsi, a usare chiusure lampo, a cucire, a scrivere calcando, a girare la chiave, a svitare tappi e coperchi di barattoli. Questi problemi si accentuano con il freddo, che comporta anche una sensazione molesta alle gambe, un peggioramento dell’equilibrio e della sensibilità fine. L’alcool e alcuni farmaci possono causare peggioramento.
Il dolore non è frequente e, a parte i crampi, non è dovuto alla neuropatia, ma alle sue conseguenze sull’apparato osteoarticolare (deformità dei piedi e delle ginocchia, artrosi, esiti di traumatismi).
Sebbene dopo i 50 anni di età si verifichi un lento peggioramento, nella maggior parte dei casi la disabilità non è grave. La malattia non riduce la durata della vita ma ne peggiora sensibilmente la qualità.
L’indebolimento dei muscoli si accompagna al loro assottigliamento (atrofia muscolare). Una deformità tipica, ma non esclusiva della CMT, è il già citato piede cavo, presente nella maggioranza dei casi, di solito accompagnato dalla tipica deformazione delle dita “a martello”. Nel 10% dei casi vi è cifoscoliosi. Esistono infine forme rarissime in cui si indeboliscono anche i muscoli respiratori e quelli della fonazione, con paralisi delle corde vocali, come pure forme in cui sono compromessi altri organi e apparati (specie l’orecchio, con sordità neurosensoriale e l’occhio con atrofia ottica).
Certamente la ricerca dovrà percorrere ancora molta strada per avere un quadro completo e certo delle caratteristiche sintomatologiche della CMT, ma in ogni caso si può dire che essa solo in poche situazioni presenti una disabilità grave, tanto da costringere all’uso della carrozzina.
Esami e diagnosi
La diagnosi di sospetta CMT parte dall’osservazione clinica e si avvale dell’esame elettrofisiologico ai quattro arti e, sempre meno, della biopsia del nervo. È ormai fondamentale il test genetico dopo un semplice prelievo del sangue, con la ricerca di mutazioni nei numerosi geni coinvolti, che consente la diagnosi precisa in oltre il 60% dei casi. Tuttavia, la lista dei geni è destinata ad allungarsi nel tempo e metodiche di indagine di analisi del DNA di nuova generazione permettono l’analisi contemporanea di molteplici geni. La biopsia del nervo dovrebbe essere sempre l’ultima indagine, da considerarsi solo in casi particolari e quando gli esami precedenti non abbiano identificato alcuna delle forme di CMT rilevabili con i test a disposizione. Va detto per altro che quasi tutti i casi gravi noti sono figli di persone che, al momento del concepimento, non avevano ancora manifestato alcun sintomo oppure i cui genitori erano portatori sani (forme recessive). Identificare le basi genetiche permette comunque al paziente sia di pianificare il proprio futuro gestendo meglio il trattamento riabilitativo, sia di beneficiare prontamente dei risultati della ricerca. Inoltre tramite una consulenza genetica è possibile decidere per un’interruzione di gravidanza con maggiore consapevolezza o pianificare con maggiore coscienza il percorso di diagnosi preimpianto e le alternative di fecondazione assistita per evitare il rischio di ricorrenza.
Le possibilità di cura attualmente disponibili
Attualmente non esiste una terapia farmacologica efficace, e, per la forma più comune (CMT1A) numerosi trial clinici che hanno studiato la terapia con acido ascorbico (vitamina C) sono stati completati, purtroppo con esito negativo. In particolare, uno studio italiano con acido ascorbico ha mostrato buona tolleranza, ma nessuna differenza significativa per i pazienti, né in termini di velocità di conduzione, né di forza muscolare, tempo di marcia o qualità della vita. Vi sono, tuttavia, numerosi sforzi per disegnare sperimentazioni più efficaci e la ricerca continua su una serie di farmaci tra cui lonaprisan, curcuma e nuovi farmaci inibitori dell’istone deacetilasi, tutti con buona efficacia nei modelli animali di CMT.
Al momento, tuttavia, i pazienti possono convivere meglio con la CMT, grazie alla riabilitazione che ha dato ottimi risultati. Anche in questo campo, per altro, le conoscenze sono insufficienti a individuare percorsi mirati e utili a impedire l’eventuale progressione del male ed è necessaria una maggiore ricerca clinica. Recentemente è stato concluso un trial terapeutico riabilitativo finanziato nel contesto dei bandi Telethon UILDM che ha dimostrato come l’esercizio aerobio al “Treadmill” (“tapis roulant”), unitamente ad esercizi per l’equilibrio e la respirazione, è efficace nel trattamento di pazienti affetti da CMT1A e come il miglioramento si mantenga per sei mesi dalla sospensione della terapia. È importante, quindi, non sottovalutare i problemi legati all’equilibrio e facilitare la mobilizzazione attiva con l’obiettivo di migliorare la mobilità dei pazienti con CMT e di prevenire ed evitare le cadute perché lunghi periodi di immobilizzazione possono essere deleteri per questi soggetti. L’utilizzo di scarpe adatte, opportunamente modificate, di plantari ben confezionati ed eventualmente di tutori di caviglia (molle) migliora notevolmente l’equilibrio e il cammino. L’esercizio intenso può accelerare l’indebolimento muscolare, per cui la riabilitazione deve sempre essere svolta in centri specializzati sotto il controllo di fisiatri e fisioterapisti esperti.
Infine, un’oculata chirurgia del piede può migliorare l’equilibrio e il cammino, in casi particolari.
*Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica, Università di Genova
Testo aggiornato nel mese di gennaio 2018.
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