Mattia e basta

share on:

Negli occhi di un papà c’è lo stupore per un figlio che cresce. Nelle sue parole l’orgoglio per ogni risultato raggiunto. In questa Festa del papà “ai tempi del Coronavirus”, la storia di Francesco e di suo figlio Mattia ci parla di famiglia, amore e libertà.

Mattia Abbate ha 31 anni. A 6 anni circa gli viene diagnosticata la distrofia muscolare di Duchenne. Da quando ha 11 anni si muove in carrozzina.

“I miei genitori mi hanno parlato della mia malattia piano piano, rispettando i miei tempi. Ho apprezzato il modo in cui si sono comportati. Mi hanno insegnato che dobbiamo sfruttare bene il tempo a nostra disposizione”.

“Da sempre Mattia era un po’ impacciato nei movimenti, ma sembrava una questione di sviluppo motorio che si poteva risolvere col tempo. Mentre frequentava la prima elementare oltre a noi, se n’è accorta anche la sua insegnante. La diagnosi per noi è stata una botta fortissima che ci ha destabilizzato per parecchio tempo. Poi, ad un certo punto, abbiamo deciso che dovevamo tirarci su le maniche e andare avanti. Avevamo un altro figlio oltre a Mattia, Gabriele che aveva 1 anno a quel tempo e non presentava la delezione del gene. La fede ci ha aiutato molto ad andare avanti in quegli anni, e ci aiuta ancora”, racconta il papà Francesco, 60 anni.

“All’inizio pensavamo di essere soli, ma l’incontro con le associazioni di pazienti ci ha messo in contatto con famiglie nella nostra stessa situazione. Prima Parent Project, che ho contribuito a far nascere, poi UILDM che è molto radicata nel nostro territorio e molto impegnata nell’accompagnamento quotidiano delle persone con disabilità neuromuscolare”.

La famiglia composta dai genitori, i due fratelli e la nonna vive a Milano. Mattia frequenta il liceo delle scienze umane e si laurea in storia. Dal 2008 gioca a wheelchair hockey, prima nella squadra del Dream Team, poi nei Turtles Milano. Da un anno circa cura “Ci vuole abilità”, una rubrica che parla di disabilità su Repubblica Milano, “un’avventura nata dopo aver scritto una lettera alla dirigenza dell’Inter in cui parlavo delle difficoltà delle persone con disabilità di accedere allo stadio”. La lettera arriva anche alla redazione di Repubblica e nasce una collaborazione con la testata.

Francesco è un insegnante di sostegno alle medie.

“Ero insegnante di educazione fisica e circa 20 anni fa si è aperta una possibilità per l’abilitazione al sostegno. Alla fine ho deciso di rimanere in quella classe di concorso. Posso gestire con maggiore flessibilità le esigenze di mio figlio; inoltre la mia esperienza di vita diventa una risorsa in più perché riesco a capire meglio le aspettative dei genitori e le situazioni degli studenti”.
 

Com’è il vostro rapporto?

Mattia: “Il nostro è un buon rapporto, discutiamo di quello che succede. Siamo un po’ diversi, ci incontriamo e ci scontriamo. La mia famiglia mi ha permesso di fare molte esperienze importanti. Fino a qualche anno fa avevamo un camper e abbiamo girato molta parte dell’Europa occidentale insieme.
Mio padre mi ha insegnato che bisogna sempre portare avanti le cose, che la mia situazione non è un’attenuante per non portarle a termine. Non sono mai stato trattato come una persona con disabilità”.

Francesco: “È un normale rapporto padre-figlio. Io vedo un figlio che, tra le altre cose, si muove in carrozzina. Per me è Mattia e basta, non ci sono altre etichette per descriverlo. È una soddisfazione avere vissuto questi anni insieme, avere seguito il suo percorso scolastico e lavorativo. Mattia si è conquistato tutto con le sue mani”.

 

Francesco, cosa ti auguri per tuo figlio?

Spero conservi la serenità che lo ha accompagnato in questi anni, che non perda la sua bontà disarmante e, in questo periodo, che sopravviva al Coronavirus.
 

Avere la distrofia di Duchenne ai tempi del Coronavirus. Come state vivendo questa situazione?

Per noi è abbastanza consueto stare in casa d’inverno perché Mattia ha un’insufficienza respiratoria e deve evitare tutte quelle situazioni che possono peggiorare il suo stato. Normalmente Mattia ha un assistente personale per 40 ore a settimana, anche se a causa del Coronavirus ora tutto è sospeso.
Attualmente siamo tutti a casa: io e mia moglie, c’è la nonna e mio figlio Gabriele che adesso lavora da casa.
In questo caso l’attenzione è maggiore. Ogni tanto mi viene rabbia perché la gente banalizza quanto sta capitando, non mette in atto le precauzioni che sono richieste in questi casi. Molti non si accorgono della fortuna di essere sani e avere tante possibilità.

(ap)

 

>>> Per saperne di più sulla distrofia di Duchenne leggi la nostra scheda medica
Ritratto di uildmcomunicazione

uildmcomunicazione