Papà Graziano: "L'amore fa fare cose impensabili"

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Raccontaci un po’ di te Graziano: quanti anni hai, il tuo lavoro, le tue passioni, dove vivi, chi sono i membri della tua famiglia.

Ho 39 anni, vivo a Roma e lavoro nel campo della comunicazione e del giornalismo da oltre 15 anni. Ho una grande passione per lo sport, anche se non posso praticarlo, per la musica e per cinema/serie tv. Fanno parte della mia famiglia mia moglie e due bambini di 3 e 6 anni, Nicolò e Giorgio.

Quando hai ricevuto la diagnosi di distrofia?

Avevo pochi anni, la diagnosi fu fatta dal professor Enrico Bertini, neurologo dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Non ho molti ricordi di quel periodo, se non che facevo fatica ad alzarmi da terra e che mi stancavo facilmente. Un'analisi genetica alla Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo in Puglia confermò la distrofia muscolare di Becker.

La decisione di diventare papà, consapevole di alcuni limiti che la malattia impone, come è stata? Ci hai pensato a lungo oppure no?

Ho sempre desiderato avere dei figli e con mia moglie abbiamo riflettuto su quelle che sarebbero potute essere le difficoltà per me.

Quando stavamo aspettando il nostro primo figlio, Giorgio, mi chiedevo per esempio “come farò a tenerlo in braccio?” e lei mi rassicurava dicendomi “lo potrai tenere in braccio da seduto”, una soluzione effettivamente poi utilizzata.

 

Come vivono la situazione Nicolò e Giorgio? E cosa desideri per loro?

Ogni giorno cerco di rendere il meno impattante possibile le mie condizioni di salute e non sempre è facile, soprattutto quando ci sono dei periodi, come sta accadendo negli ultimi mesi, in cui sto peggio.

Mi sono reso conto che coinvolgerli chiedendo per esempio di aiutarmi ad alzarmi se sto giocando a terra con loro aiuta a capire meglio cosa mi succede.

Si dice che i bambini siano “spugne” ed effettivamente è così. Anche in questo caso il supporto, anche psicologico, di mia moglie, è fondamentale per trovare una sorta di compromesso nonostante crampi e stanchezza, purtroppo continui. Cosa desidero per loro… innanzitutto di crescere sapendo cosa sia il rispetto per gli altri, che la diversità è una ricchezza, non qualcosa da combattere, e che istruendosi potranno capire meglio il mondo che li circonda, a partire dalla propria famiglia.

 

Lo sguardo sui genitori con disabilità spesso è ancora molto scettico. Perché secondo te?

Le questioni secondo me sono due: la prima riguarda proprio la condizione di “persona con disabilità”, come se non si potesse essere in grado di crescere dei figli o addirittura procreare. Questo accade, dal mio punto di vista, perché viviamo in una società nella quale sembra che bisogna avere determinate caratteristiche, fisiche chiaramente, per fare cose che si considerano “normali”. Io sono dell’idea che l’amore per i propri figli faccia fare davvero cose impensabili. Lo vedo su di me: ho una malattia rara “invisibile”, sono sempre affaticato ma se uno dei miei due bambini mi chiede di giocare con lui cerco di trovare sempre la forza nonostante tutto. L’altro problema ha a che fare con la proiezione mentale delle persone, che spesso immaginano i disabili come esseri umani “speciali”, “superiori”. Questo è un modo di pensare totalmente pietistico che di conseguenza non dovrebbe includere la genitorialità.

Ripeto, siamo persone esattamente come tutte le altre, la differenza, quando si hanno figli, sta in chi ci sta attorno: se familiari, amici, medici e datori di lavoro rispettano le esigenze della persona con disabilità allora si sentirà di meno il fardello di dover convivere con una malattia, di qualsiasi natura, e questo sarà solo un beneficio per i bambini.

(cs)

 

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