Donne, disabilità, autodeterminazione

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Abbiamo intervistato Simona Lancioni, responsabile del Centro Informare un’H, a proposito del caso di Yaska.

Di recente ti sei occupata del caso di Yaska, una donna con disabilità psichiatrica che nel 2015 è stata separata dalla sua famiglia, istituzionalizzata e sottoposta ad interdizione; nel 2019 ha subito un aborto nonostante avesse espresso la volontà di proseguire la gravidanza e dal novembre 2021 le sono stati preclusi anche i contatti con i suoi familiari. Sul sito Informare un’H si trovano due testi (reperibili qui e qui) dove spieghi i dettagli di questa vicenda davvero grave e complessa.

Partiamo dal concetto di autodeterminazione: cosa significa?

La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009, riconosce alle persone con disabilità il diritto di fare scelte riguardo ad ogni ambito della propria vita. L’autodeterminazione significa ascoltare, riconoscere e rispettare i diritti, la volontà e le preferenze della persona con disabilità e non sostituirsi mai a lei nelle decisioni. E questa regola vale per tutti i tipi di disabilità, anche per quelle intellettive e psichiatriche.

Grazie all’impegno di organizzazioni internazionali e nazionali di persone con disabilità anche il diritto all’autodeterminazione in ambito sessuale e riproduttivo è tutelato a livello normativo. Ma la cronaca ci mostra che esso non viene rispettato. Dove e chi dovrebbe intervenire in questo senso?

Credo che gli aspetti problematici siano due. Il primo è che l’interdizione che l’inabilitazione sono due istituti giuridici incompatibili con la Convenzione ONU perché consentono a soggetti terzi di sostituirsi alla persona con disabilità senza rispettarne la volontà e le preferenze. Dunque, per evitare che vengano ancora utilizzati, bisognerebbe che le Associazioni si battessero per abolirli. Talvolta anche l’amministrazione di sostegno è stata usata in modo improprio, dunque andrebbero introdotte delle salvaguardie che impediscano gli abusi che si sono verificati. Ciò potrebbe essere fatto nell’ambito dei lavori per l’attuazione della Legge Delega sulla disabilità (Legge 227/2021). L’altro aspetto problematico sono i pregiudizi riguardo al fatto che le donne con disabilità siano asessuate o, al contrario, abbiano una sessualità fuori controllo, e che non siano capaci di essere buone madri. Anche questo problema si risolverebbe se imparassimo a considerare la persona disabile come la maggiore esperta di sé stessa, fornendole tutte le informazioni accessibili e adeguate al suo modo di comunicare affinché possa fare scelte consapevoli e responsabili anche in materia di sessualità e genitorialità.

Che ruolo hanno i media nel raccontare il diritto alla sessualità delle donne con disabilità? Quali cambiamenti hai visto negli anni in merito?

I media hanno un ruolo strategico perché concorrono a formare l’immaginario collettivo riguardo al tema in questione. Qualche cambiamento positivo c’è stato. Il 3 marzo scorso, ad esempio, sul «Corriere della Sera – Salute» è stato pubblicato un buon servizio dedicato all’accesso delle donne con disabilità ai servizi per la salute, ed in particolare a quelli dell’area sessuale e riproduttiva, citando anche i dati raccolti da UILDM. Solo qualche anno fa un servizio del genere sarebbe stato impensabile.

Essere consapevoli dei propri diritti, anche riproduttivi, è un percorso che molte donne con disabilità sembrano intraprendere tardi o addirittura mai. Perché secondo te?

Credo che molte donne con disabilità abbiano assimilato i pregiudizi sul loro conto a cui accennavo in precedenza. Ma oggi, per fortuna, anche grazie ad internet, possono più facilmente entrare in contatto con donne disabili più consapevoli e conoscere le loro esperienze. Questo favorisce la crescita personale. Certo, non guasterebbe se anche in Italia introducessimo l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole per tutti e tutte, non solo per le persone disabili. Questo sarebbe un buon intervento anche ai fini della prevenzione della violenza di genere, che purtroppo colpisce anche le donne con disabilità.

(cs)

Ritratto di uildmcomunicazione

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